sabato 3 maggio 2014

Il Christo - Serpente. Cristianesimo e misteri antichi

Il Christo-Serpente. Cristianesimo e misteri antichiMi adopererò ora in un’esegesi dell’origine del Cristianesimo che tenga conto, per quanto possibile, della visione della “storia dell’esoterismo”, adottando quindi un punto di vista sintetico senza, spero, perdere il rigore analitico delle precedenti pubblicazioni. In ogni caso, pur tenendo presente interessanti lavori di storici delle religioni, il punto di vista sarà essenzialmente quello esoterico e pertanto si porrà su un piano a cui difficilmente può giungere il semplice ricercatore profano, a cui manca la visione unitario-sintetica.

E’ davvero sorprendente il livello di informazioni rivelatrici che possiamo reperire già dai soli vangeli canonici –sebbene siano fonti già “di parte”- se solo li leggiamo senza traduzioni addomesticate, nella lingua originaria e possibilmente sapendo già cosa cercare.

Analizziamo il fondamento stesso del rito cristiano: l’Eucarestia.

Ora, il pane eucaristico nel testo greco dei vangeli è detto pastikòs cioè pane impastato e lievitato e non azymòs come si direbbe se fosse pane non lievitato. In greco si tratta di due nomi distinti che indicano due distinte specialità alimentari. E’ già sufficiente questo per farci capire che Gesù in privato -e a volte con un certo coraggio anche in pubblico- non seguiva la tradizione biblica.

Infatti il pane del pesach, la pasqua ebraica, è detto matzah e deve essere rigorosamente azzimo.

In questo la Chiesa cattolica si è nettamente riebraicizzata rispetta a quella greco-ortodossa che usa pane non azzimo.

Proseguiamo. Gesù si discosta a tal punto dalla tradizione biblica che intinge il pane eucaristico in qualche genere di intingolo o condimento. Come lo sappiamo? Lo dice lui stesso nell’ultima Cena parlando del traditore: “uno dei dodici, che intinge il pane nel piatto con me mi tradirà” (Marco 14, 20). Ora secondo la tradizione biblica sarebbe una grave blasfemia quella di intingere nel piatto il pane del pesach e condirlo in qualsiasi modo: è una violazione di una delle 613 Mitzvot ebraiche.

Gesù non stava dunque celebrando la pasqua ebraica – se non esteriormente, per non destare sospetti- e non osservava la Legge.

Quale rituale dunque stava celebrando?

Di tutte le comunità più prossime, nel tempo e nello spazio, possono venire in mente solo i Terapeuti d’Egitto del lago di Mareotide, di cui ci dà ragguaglio Filone. Egli riferisce di un pasto sacro che essi celebravano ogni settimo giorno e a base di pane, che poteva essere intinto in essenza di issopo e sale come unico condimento autorizzato (l’issopo è naturalmente associato alla purezza). Inoltre vi era una ricorrenza sacra speciale ogni cinquanta giorni da cui forse il rito della Pentecoste (De vita contemplativa, 75-86).

Le usanze di questo gruppo erano talmente simili a quelle dei primi cristiani che Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica li classifica come primi monaci cristiani, tanto più che essi seguivano, in parte, delle liturgie ebraiche come lo Shema Yzrael e lo Yozer Or.

I Terapeuti però preesistevano al cristianesimo ed erano, dice Filone, un ramo contemplativo degli Esseni, coi quali condividevano l’essere un gruppo di ebrei pitagorici. Filone riferisce non solo le loro regole etiche di derivazione pitagorea, ma anche la loro dottrina numerologica, di cui ci dà conto circa il simbolismo del 7 e del 50, che egli dimostra partendo dalla dottrina di Pitagora (Legum allegoriae, I, 46). Anche la preghiera del mattino, lo Yotzer Or, stranamente ben si addice alla contemplazione dell’alba di pitagorica memoria. Per il resto, da quello che dice Filone, l’incidenza della religione ebraica era più legata a fattori esteriori di “appartenenza”, essendo queste confraternite e la loro fondazione del tutto estranee all’usuale tradizione ebraica. Pertanto essi seguivano un dottrinario esoterico di derivazione pitagorica, ed una forma esteriore che si adattava, pur con molte distinzioni, alla tradizione ebraica ma anche ai divieti ascetici dei Pitagorici (essi aborrivano i sacrifici animali di cui il giudeo si dilettava per compiacere il suo dio). Se Gesù era vicino agli Esseni doveva necessariamente essere a parte di queste usanze e, forse, seguirle.

Si tratta certo di ipotesi, legittime, ma solo ipotesi.

Tuttavia, più in generale, rileviamo che il rito del pane e del vino -altro elemento non menzionato finora- non trova riscontro nella tradizione mosaica ed ebraica. Esso invece si trova in un curioso passaggio del Genesi (14,18) ove si parla di Melkisedeq. Questo misterioso sacerdote che già era in Salem quando vi giunse Abramo, vi celebra il rito del pane e del vino, e lo benedice. Tuttavia questa figura è quasi un apax nell’Antico Testamento (ricorre solo un’altra volta, nominato in un salmo). Melkisedeq è un re sacerdote che non ha nulla a che fare con il sacerdozio ebraico, il quale deriva da Aronne, mentre il sacerdozio del Cristo sarebbe originato da Melkisedeq. Questa misteriosa figura non appartiene alla genealogia dei patriarchi, e l’Antico Testamento non ci dice la sua provenienza. Sappiamo solo che non fa parte dei patriarchi del popolo ebraico e che era già lì (in Salem) quando vi giunse Abramo: questo mito indica quindi una indipendenza e una pre-esistenza rispetto alla tradizione ebraica e abramitica. Molto significativamente anche Cristo, sacerdote di Melkisedeq, dice: “prima che Abramo fosse, Io sono” (Gv 8, 58).

Egli rappresenta, possiamo ritenere, una linea di iniziazione più antica della tradizione giudaica, e comunque autonoma rispetto ad essa e che –dato l’uso rituale del pasto sacro di pane e di vino- si connette con la Tradizione Mediterranea, cioè con quel ramo della Tradizione che viene chiamato atlantico-occidentale, rispetto a quello nordico-iperboreo. Sebbene la tradizione ebraica, per il tramite dell’Egitto, abbia avuto dei punti di tangenza con questa Tradizione, soprattutto per ciò che riguarda le sue tradizioni mistiche- tuttavia la religione exoterica vetero-testamentaria è estranea a questa linea sacrale. Il rito del pane e del vino era invece proprio di altre civiltà (alcune delle quali anche semitiche) dell’area mediterranea di cui sopravvisse soprattutto nella forma misterica.

Questa religione primordiale “mediterranea” che coinvolgeva civiltà della Grecia pre-aria, del Medio Oriente e anche della Mesopotamia, senza dimenticare l’Egitto, era spesso incentrata sull’equinozio primaverile quale cardine sacro dell’anno e prevedeva il sacrificio congiunto del pane (Demetra) e del vino (Dioniso). Il pane e il vino, lungi dall’aver solo un significato agricolo-materiale sono invece una forma dell’espressione della forza cosmica nei suoi poli maschile e femminile e sottendono un sacro mistero, che qui si può solo accennare. Sono ovviamente in relazione anche con il Bianco ed il Rosso dell’Opera alchemica. Cloni di questo mito primordiale “mediterraneo” sono la coppia sincretica Dioniso/Demetra o quella babilonese Ishtar/Tammuz, quella Attis/Cibele della Frigia, i cui riti prevedevano non di rado sacrifici di pane e di vino.

Questa vena religiosa dette origine ai culti misterici eleusini, samotraci, frigi e orfici. Essi sono sopravvissuti sino in epoca ellenistica, diffondendosi di nuovo nel Medio Oriente che li aveva prodotti, in quella meravigliosa epoca di sincretismo che furono i secoli I a.C./ II d.C.

Proprio la dottrina orfico-pitagorica, diffusa anche nel mondo ebraico-ellenistico, poté seriamente influenzare quei circoli esoterici citati da Filone. Non è dunque senza precisa connessione col tema di questo articolo che ho rievocato sopra l’ascendenza pitagorica degli Esseni.

Il veicolo di questa diffusione fu di sicuro l’ellenismo.

Un’ulteriore fonte di collegamento può essere stato il regno di Samaria, il quale fu centro di matrimoni misti fra ebrei e popoli ritenuti “gentili” -inizialmente assiri- e di conseguenza di un certo sincretismo religioso, assai mal visto dall’ortodossia ebraica.

Questo processo fu accentuato dalla tendenza, come ricorda Culianu, per cui le religioni misteriche tendono a perdere, durante il periodo ellenistico, l’estensione di tipo tribale, nazionale o regionalistica che ebbero al loro fiorire, per assumere una porta universalistica, spesso favorita dalle campagne militari greche, dato l’alta diffusione di queste religioni esoteriche negli ambienti militari.

Nota caratteristica delle religioni misteriche, spesso rimarchevolmente distanti dai meri culti pubblici o “civili” del paganesimo antico, era che esse miravano ad elevare il miste alla condivisione del destino escatologico della divinità, alla propria immortalizzazione. Esse erano incentrate su una concezione fortemente soteriologica, con preminenza dell’archetipo di un Sotèr divino da incorporare nel miste e che per certi versi rappresentante l’anima stessa del miste, il suo potenziale di divinificazione individuale, in un certo senso il “non io, ma il Cristo in me” di cui dice San Paolo.

La spiga di grano e la vite ad Eleusi – come il pane e il vino di Melkisedeq

Ora è stato proprio un teologo cristiano, Bultmann, a far notare come la forma mitico-simbolica del kerygma cristiano è derivata dalle religioni misteriche il cui elemento veicolante all’interno del cristianesimo fu l’opera di Paolo di Tarso; essa svincolò la figura di Gesù dal modello messianico presentato dal profetismo giudaico (che attendeva una sorta di “re consacrato” ma ristretto al loro nazionalismo religioso, il cui fine era riunire le dodici Tribù disperse e cacciare gli oppressori del popolo ebraico) facendogli assumere invece il carattere del dio-Salvatore dei misteri classici e di molte correnti gnostiche.

Aggiungo personalmente una riflessione: che Gesù il Christo, per le sue caratteristiche storiche non potesse corrispondere al Messia ebraico è facilmente desunto dal fatto che il mashiach per l’ebraismo significa “unto” e questa caratteristica era propria di re e profeti. L’ebraismo attendeva la venuta del prossimo messia (uno dei tanti della sua storia) anche se via via alcune correnti mistiche tesero a connotarlo come una specie di restauratore dello stato edenico (la nostra età dell’oro), tale per esempio si connota nelle profezie di Isaia. Tuttavia rimane l’idea, nelle scritture dell’Antico Testamento, che fosse il soccorritore di Israele. Vi erano molti diversi Messia nell’ebraismo antico; nella tradizione talmudica, si parla di un Messia della tribù di Efrem e uno della tribù di Giuda (discendente di David). Addirittura nello Zohar si sostiene che nasce un potenziale messia in ogni generazione. Inoltre nell’Antico Testamento non si asserisce mai che il Messia possa definirsi un dio-salvatore, né un Dio incarnato, con le caratteristiche cioè del Christo, quale si manifesta nel Cristianesimo.

Anche l’espressione di “figlio dell’Uomo”, nell’AT, si riferisce unicamente ad un essere umano e infatti si traduce generalmente come “uomo”, come in Ezechiele, o indica l’umanità in generale come nei Salmi.

Non c’è un solo passo dell’Antico Testamento che possa far asserire la natura divina del Messia. Questo, nell’AT, è esclusivamente un re consacrato, comunque un essere umano, seppur inviato da Dio; non ha dunque i tratti del Sotèr sovrannaturale.

Del resto non è da stupirsi se Gesù non fu riconosciuto quale messia dagli ebrei del suo tempo.

Nel mio articolo Simon mago era in realtà l’apostolo Paolo? ho evidenziato come una cospicua fetta della Chiesa cristiana orientale del II secolo non riconosceva che Gesù Cristo fosse il Messia annunciato dall’Antico Testamento.

Si consideri poi che, non solo la sua predicazione (anche quella “pubblica”) aveva solamente elementi esteriori di ebraismo, ma anche la sua condizione non fu quella di restauratore della nazione ebraica – non fu mai consacrato re della nazione, né pretese di esserlo: quando il procuratore romano gli chiese se fosse il re dei Giudei, rispose “sei tu che lo dici” – come a dire “è un titolo a cui non tengo e che non rivendico”.

Probabile che qualcuno, lui vivente, lo identificasse col Messia, ma mai Gesù, in nessun passo evangelico, dice esplicitamente di esserlo.

Vi sono invece dei passaggi del “narratore” che in maniera insinuante vuole accostare un qualche miracolo o un qualche segno a dei tratti delle profezie dell’AT. Riguardo ciò, ho già evidenziato nel suddetto articolo, come e perché, secondo l’esegesi di Marcione, sarebbero stati introdotti dei passi nel Nuovo Testamento, per saldare la figura di Gesù con le profezie ebraiche, per soddisfare le aspettative della corrente ebionita (giudeo-cristiana).

Si tratta comunque di un falso storico poiché le scritture ebraiche “canoniche” non sono quelle di una religione universalistica.

Così l’idea dei primi cristiani, di un salvatore divino dalla portata cosmico- planetaria, ha il suo ascendente più prossimo non nel messianismo ebraico, ma semmai nelle profezie zoroastriane dello Shaoshyant o Mithra-Shoshyant.

E di nuovo non può essere un caso se dalla Persia vennero dei Re astrologi ad onorarne la nascita!

Re Maghi. Da notare il berretto frigio delle iniziazioni mithriache e pantaloni di foggia persiana.

Come inciso ricorderei che questi “salvatori divini” (gli shaoshyant zoroastriani) sono l’equivalente degli avatar hindu. Questo conferma l’interpretazione esoterica secondo cui Gesù fu un avatar divino, e spiega l’origine della distinzione gnostica fra un Gesù uomo, l’avatar, il veicolo carnale e temporaneo, e l’Influenza Spirituale discesa su di lui: il Logos-Cristo che in lui si incarnava temporaneamente. La concezione tradizionale del concetto di avatar elimina alla radice le inutili dispute cristologiche su un dogma confuso; confuso perche è la cristallizzazione di una idea tradizionale mal compresa: quella di avatar. Se ci si rifà alle dottrine tradizionali, in particolare all’induismo, che su queste concezioni è di una chiarezza disarmante, si rivelano per prive di senso tutte le dispute cristologiche dei primi secoli.

Con queste premesse andiamo ad esaminare un punto cruciale: Gesù fu condannato come eretico e blasfemo dalle autorità ebraiche. Questo fatto è essenziale: egli non rispettava le norme essenziali di condotta dell’ebraismo, come lo shabat e infrangeva sistematicamente molte regole di purezza. La dottrina che predicava (mi riferisco a quella pubblica, nota attraverso i canonici) non si appoggia se non in minima parte alle scritture del Vecchio Testamento e non cerca di trarre autorevolezza da esso.

Ho evidenziato più sopra che egli non seguisse dei rituali ebraici. Esteriormente si dava l’impressione di celebrare la pasqua ebraica, ma in privato il rito si svolgeva con altre caratteristiche (anche la lavanda dei piedi sarebbe impensabile nel contesto delle leggi di purezza ebraiche).

Io ritengo che Gesù fosse un iniziato ad uno, o forse più d’uno, dei culti misterici orientali dell’era ellenistica, probabilmente accolto all’interno di una delle sette in margine al mondo ebraico. Già abbiamo detto dell’influsso dei misteri pitagorici su Terapeuti ed Esseni e sul modo con cui elementi di entrambe le tradizioni si erano fusi. Il sincretismo nelle sette mistiche di quei secoli era frequente, in Palestina come altrove, e il mondo ebraico, pur ostile ad ogni influsso ellenistico (vedi Maccabei), non sfuggì a questo orientamento.

Ad esempio l’apocalittica giudaica del periodo I a.C. –I d.C. testimonia questa fase rivoluzionaria. Nasce ad esempio un ciclo di apocrifi dell’Antico Testamento come i Libri di Enoch in cui “gli angeli turbolenti” anticipano gli Arconti della Gnosi. In questo gnosticismo di area ebraica nasce la svalutazione del dio dell’Antico Testamento, ormai visto come una potenza minore della creazione e un nemico del genere umano, esempio perfetto: l’Apocalisse di Adamo. La provenienza di questa letteratura è tutt’ora misteriosa e fonte di discussione. Ma questo è l’ambiente che permise il fiorire di un sapere gnostico in Palestina, con un orientamento diametralmente opposto all’ebraismo ortodosso e in cui l’influsso dei misteri orientali del periodo ellenistico è una affascinante storia ancora da esplorare.

Se è difficile ricostruire le vie attraverso cui si diffusero e si fusero queste linee sapienziali di multiforme provenienza, è però più chiaro il punto di arrivo. Gesù doveva far parte di sicuro della setta dei Nazorei (vicina al movimento esseno). Rileviamo come, nei vangeli, vengano nominati tutti i gruppi religiosi ebraici attivi allora in Galilea: sadducei, farisei, zeloti ecc.. non vengono invece mai nominati gli Esseni. Come mai? Forse perche gli apostoli erano loro stessi degli esseni. Quanto alla setta dei Nazareni (altro nome dei Nazorei) essa non solo viene non menzionata nei vangeli canonici, ma addirittura il suo nome viene contraffatto in un toponimo abbastanza controverso, poiché la denominazione Nazareth non ricorre mai nell’AT e, al di fuori dei vangeli, non è attestato se non secoli dopo Cristo. Se vogliamo ammettere comunque che la città di Nazareth esistesse ed avesse quel nome all’epoca di Gesù, rimane un fatto ben strano di natura lessicale: Gesù è detto nazarènos. Se la parola derivasse dal toponimo di Nazareth dovrebbe essere, in greco, nazarethànos.

Anche così i conti non tornano, e si ha l’impressione che qualcuno abbia voluto “nascondere” la filiazione nazorea.

La setta dei Nazorei è quella che ha poi dato origine ai Mandei, i quali ancor oggi si definiscono, nel loro aramaico modificato, Nasurai. Questa setta gnostica e battesimale abbandonò rapidamente la Palestina a causa delle persecuzioni a cui fu sottoposta da parte dell’ortodossia ebraica, persecuzione che avrebbe avuto origine già negli anni 30 del I secolo (secondo l’ipotesi di Schoenfield), e questo trova riscontro nella sorte che toccò sia a Gesù sia a Giovanni Battista, altro profeta nazoreo (stando alla tradizione mandea).

Viceversa, il vangelo dei Nazorei, mostra di appartenere ad ambiente ebionita giudeo-cristiano, senza alcun fondo gnostico, ma questo può essere un fatto assai poco indicativo, dato l’uso di attribuire pseudoepigraficamente questi titoli ai vangeli, a volte senza particolare fondamento.

Comunque va ricordato che stando alle fonti (Epifanio di Salamina, Panarion, 1, 18) i Nazorei seguivano, almeno su certi punti, le usanze e la tradizione ebraica.

L’ostilità e le accuse di blasfemia da parte dell’ortodossia ebraica, la natura gnostica del loro insegnamento (sopravvissuta seppur alterata nella Gnosi mandea), la probabile derivazione da un influsso ellenistico (orfico-pitagorico ma anche egizio, come vedremo più avanti) sono tutti indizi che confermerebbero il fatto che Gesù fosse il maestro di una corrente gnostica che, con un certo sincretismo, veicolava un’iniziazione misterica in un corpo dottrinario esteriore di tipo “ebraico” o che si servisse del linguaggio ebraico per ragioni di “contesto”, ma senza un particolare legame di fondo. L’ebraismo poteva cioè essere una struttura exoterica esteriore, quella del paese di appartenenza, la cui conservazione fosse solo contingente e di facciata.

I Nazorei (concepiti come gli antenati dei Mandei) sono il gruppo che meglio si presterebbe a rispondere a queste caratteristiche.

In ogni caso la pur labile, se non simulata, appartenenza alla religione ebraica, non fu sufficiente a mascherare la natura eretica di questo culto misterico-gnostico, che portò alla condanna per empietà i suoi capi.

I Nazorei antichi sono il gruppo religioso su cui sappiamo di meno, anzi di cui è stata praticamente cancellata ogni traccia, specie negli scritti di autori cristiani dei primi secoli (se si fa eccezione di Epifanio, che però aveva notizie assai superficiali e insoddisfacenti).

A mio avviso si tratta di una omissione tutt’altro che casuale.

Del resto già Guénon circa il cristianesimo dei secoli II e III notò come “tutto ciò che l’aveva preceduto sia stato volontariamente avvolto dall’oscurità” (L’esoterismo cristiano, cap. 2)

Il miracolo del serpente di Bronzo. Affresco del Bronzino, XVI sec.

Il miracolo del serpente di Bronzo. Affresco del Bronzino, XVI sec.

Ho scritto della connessione di Gesù con la setta eterodossa dei Nazorei (da non confondere col voto di nazireato, che invece rientrava negli usi dell’ebraismo ortodosso antico).

La sopravvivenza di questi Nazorei nell’attuale setta gnostica dei Mandei dell’Iraq, parlanti in effetti un dialetto aramaico (fatto attestante la loro origine  palestinese), potrebbe confermare che Gesù fosse a capo di una setta gnostica perseguitata per questo dai sacerdoti ebrei.

Quanto all’influsso di una qualche forma di iniziazione sul prototipo dei misteri ellenistico-orientali è però soprattutto a indizi tratti dal lessico protocristiano che dobbiamo guardare.

Ad usare il termine greco mysterion è proprio san Paolo. Vero è che questa parola ricorre già nel greco della Bibbia dei Septuaginta, ma essa è centrale solo nella teologia paolina e, nelle lettere di Paolo, ricorre almeno ventuno volte, quasi più che in tutti i libri del Vecchio Testamento. Unica parziale eccezione in contesto ebraico è la letteratura apocalittica che produsse gli apocrifi ebraici dell’Antico Testamento dove la parola equivalente è l’ebraico raz, appunto la rivelazione (apocalypsis) di un mistero divino. Ma sappiamo già la natura gnostica o pre-gnostica di questa letteratura ebraica “revisionista” e anti-giudaica.

Verrebbe allora da estendere la riflessione a quanta parte ebbe l’influsso misterico-ellenistico in questa evoluzione del pensiero religioso giudaico, anche in considerazione che la parte più colta e rilevante degli ebrei della prima diaspora viveva – già all’epoca di Cristo – ad Alessandria, ambiente greco-egiziano, e dovette assai riconsiderare la fede dei Padri alla luce delle filosofie ellenistiche (vedasi il pensiero di Filone e la sua esegesi allegorico-platonica della Bibbia).

Così vediamo che il termine mysterion (o il suo equivalente ebraico) è proprio ad una categoria di testi religiosi già pre-gnostici (libri di Enoch) o decisamente gnostici e antinomiani (Apocalisse di Adamo), che ormai di ebraico hanno solamente il retroterra mitologico di riferimento (personaggi dell’AT) ma che tecnicamente sono già anti-ebraici.

Pastorale armeno. Chiesa di san Lazzaro degli Armeni, Venezia.

Pastorale armeno. Chiesa di san Lazzaro degli Armeni, Venezia.

In Paolo tuttavia l’accento è ancora più significativo perché per lui l’essenza stessa del Kerygma cristiano è associata alla parola mysterion.

Vi sono però altri termini a cui dobbiamo badare e che sono ancora più rivelatori.

A sottolineare infatti la connessione con il mondo delle religioni misteriche ellenistico-orientali, va notato che anticamente Gesù, nei primissimi circoli cristiani, veniva chiamato “Chrestòs”. I cristiani nel primo secolo erano indifferentemente designati sia come “christiani” che “chrestiani”, come ha ricostruito il Lampe (Christians at Rome in the First Two Centuries, P. Lampe 2003), ed altri storici attestano come questa denominazione, derivata da “Chrestòs”, fosse ancora in uso sin nel II secolo (Van Voorst,  Jesus Outside the New Testament: An Introduction to the Ancient Evidence, 2000 Eerdmans Publishing pagg. 33-35).

Il termine Cristiani ricorre solo tre volte negli Atti degli Apostoli: il testo greco del Codex sinaiticus,  risalente al IV secolo, attesta quei termini, in tutte e tre i casi, come “chrestianoi”.

Anche Svetonio parlando del grande incendio di Roma e delle persecuzioni neroniane parla dei seguaci di un certo Chrestos (Vita dei Cesari- Claudio, XXV). Che questa non sia una semplice imprecisione di Svetonio, o un errore di trascrizione, lo attesta anche un passo di Tacito (Annali, XV,44) in cui parla della setta dei Chrestiani, il cui fondatore era un certo Cristo (quindi si usavano i due termini senza molte distinzioni) crocifisso in Galilea sotto Tiberio.

Un’antica iscrizione risalente al 318, in Siria, all’ingresso di uno dei più antichi luoghi di culto cristiani, appartenente ai seguaci di Marcione, riporta la dedica al “Signore e Salvatore Gesù il Chrestòs”.

Anche nei testi manichei, Mani si definisce “Apostolo di Gesù Chrestos”. (Gardner, Lieu  manichean texts, pag 167).

Qual è la differenza dei due termini?

Christos (= unto) è la parola greca per l’ebraico mashiach, ed era il titolo impiegato da coloro che pensavano che Gesù fosse il Messia del giudaismo. Chrestòs (dal greco chraomai) è invece un termine tecnico che inerisce al mondo delle iniziazioni ai misteri pagani (orfici, eleusini, bacchici, cabiri), dove indicava la distruzione della natura inferiore, il raggiungimento dello stato di immortalità individuale, il termine cioè dei Piccoli Misteri. Esotericamente si riferisce a colui che è passato per la seconda nascita, che ha eternalizzato sé stesso nel proprio agathodaimon, genio individuale. Tale termine corrisponde esattamente all’egiziano unnefer (“sempre fiorente”), nei misteri egiziani; Osiride era unnefer parola che in greco, come ad esempio fa Plutarco, viene tradotto appunto con “Chrestòs”. Attraverso l’ellenismo infatti  il termine passò a designare l’adepto realizzato anche di altri misteri (egizi, caldei ecc.).

Vi sono altri significati che distinguono Chrestos da Christos, termine peraltro del tutto legittimo nel suo ambito, tuttavia questi altri significati non possono essere del tutto svelati qui. Contrariamente a quanti ritengono che lo Gnosticismo sia una linea ormai esaurita, si tratta di un eggregore ancora attivo ed operante, per cui non sono autorizzato a svelare altri aspetti di questa duplice terminologia.

Tuttavia quanto detto è sufficiente per chiarire questa parte del problema: anche questi riferimenti indicherebbero, in modo abbastanza chiaro, la connessione di Gesù con una linea di trasmissione iniziatica di tipo misterico, appartenente al mondo sincretico ellenistico di quel tempo (nel che andrebbe inclusa però anche l’iniziazione egizia).

Pastorale bizantino

Pastorale bizantino

Tuttavia il progressivo abbandono dell’un termine in favore dell’altro, Christòs, fu opera non casuale di sostituzione, da parte di quella corrente proto-ortodossa che recepì le istanze dei gruppi giudaici di cui al mio precedente articolo (sia chiaro che la nuova religione viaggiava da una città all’altra anche e soprattutto attraverso le comunità ebraiche che vi risiedevano). Poiché in seguito i redattori dei testi furono esclusivamente i seguaci dell’ortodossia, i copisti, vuoi anche solo per ignoranza, cambiarono ogni qualvolta occorreva, la designazione di Chrestòs in Christòs.

Si badi che la soppressione del termine chrestòs va significativamente di pari passo con la soppressione della struttura iniziatica del cristianesimo e più o meno vi  coincide anche temporalmente.

Se vogliamo cercare allora le tracce di questa iniziazione misterica, possiamo seguire poche piste ma io indicherei proprio quella meno “appariscente” e in fondo la più bistratta.

Analizziamo quindi il filone  gnostico cristiano che rientra in quell’insieme di correnti, generalmente dette “ofite” (fra di esse sono annoverati Naasseni, Peratei, Sethiani), che di solito non hanno riscontrata la giusta attenzione e sono considerate una forma di gnosticismo meno raffinato (se confrontato coi sistemi di Basilide e Valentino).

Si tratta però di una corrente assai antica, tanto che anche negli scritti dei Padri l’origine di questo gruppo si perde nelle brume delle stesse origini cristiane, al punto che nessuno riuscì a risalire a qualche fondatore storico di questo filone. Ai fini della nostra ricerca questo è un elemento positivo, poiché non si lascia ricondurre a nessun fondatore umano, ma la sua origine si confonde perciò con quella dello stesso Cristianesimo generale.

In secondo luogo è necessario per noi rintracciare un filone che sia visibilmente “pagano” cioè non-ebraico (e in effetti il simbolismo del serpente è raro nell’ebraismo e ricorre al massimo tre volte nell’AT). Per contro il simbolismo ofita del serpente era frequente in molte religioni misteriche.

La matrice pagano-gentile degli Ofiti si rivela anche in certi particolari: nella ricostruzione della Genesi biblica contenuta del Libro di Baruch di Giustino, è detto che l’Eone salvifico, il Baruch si rivela a Gesù, ma anche ad Eracle presso i Greci. Un testo ofita, citato da Ippolito di Roma, enuncia l’identità della dottrina segreta di Gesù coi misteri frigi, assiri, samotraci, greci (eleusini ed orfici). Vi si legge: “presso gli Egizi, l’Acqua di vita (=Cristo) è detta Osiride”.

Serpente in Sant'Ambrogio

Serpente in Sant’Ambrogio

Questo documento, una rielaborazione cristiana di un’elaborazione ebraica di un inno dei misteri di epoca ellenistica, identifica bene a mio avviso la linea di formazione dei “misteri cristiani”: da religioni ellenistico-pagane, passando per gruppi eterodossi ebraici, fino a Gesù e Giovanni Battista.

Del resto la prassi era accettata anche dai Padri della Chiesa: essi ritennero come ispirati i Libri sibillini, cioè un rimaneggiamento cristiano di un’elaborazione ebraica su fonti pagane.

In realtà, costoro raramente e difficilmente si definivano “Ofiti”, ma si riferivano a sé stessi semplicemente come “gnostici”. Il termine sembra sia stato impiegato polemicamente dagli eresiologi, da Ireneo in poi, per farne quasi degli “adoratori del Serpente”, in realtà accentuando pretestuosamente degli aspetti assai marginali del simbolismo o della dottrina. Ippolito li identifica come Naasseni (da nhsh, ebr. “serpente”). A queste correnti sono da ricondurre fra l’altro l’Ipostasi degli Arconti, L’apocrifo di Giovanni, le tre steli di Seth. La produzione di questi testi gnostici mette in risalto il ruolo arcontico del dio dell’Eden che impedisce l’accesso alla Conoscenza, l’Albero (si badi che in molti sistemi simbolici tradizionali è compito dell’eroe impossessarsi lottando dell’ “albero”, che è Potere e Conoscenza, facendo per così dire “violenza al Regno dei Cieli”, violenza che inizia dai tempi dei maestri gnostici: da Giovanni Battista e  Gesù in poi.  cfr. Mt 11, 12).

Naturalmente il senso del simbolo è sempre duplice. Positivo e negativo.

Il serpente rappresenta un potere primordiale: è Conoscenza ma il suo mancato adempimento comporta una caduta. Come il suo secreto, esso può essere veleno e farmaco.

Il potere primordiale che rappresenta è anche cosmogonico (serpente cosmico): in questo senso esso rappresenta pure il potere sessuale. Assommando in sé l’elemento sapienziale e sessuale, esso rivela il significato occulto dell’uso biblico del termine “conoscere” per indicare l’atto sessuale. In esso si cela l’uso tipico che viene dalla Tradizione e si manifesta in tutte le religioni antiche di associare la tecnica ierogamia (sesso sacro) all’ascesa a stati divini.

Però, per l’ebraismo, l’unica possibilità interpretativa per questo simbolo è esclusivamente svalutativa, ne contempla cioè unicamente gli aspetti negativi, ignorandone le possibilità iniziatiche, anzi proibendole (Gen. 2,16-17). Ma la religione ebraica è l’origine delle tradizioni exoteriche in sé stesse nemiche e avversarie dell’esoterismo. Così l’elenco delle proibizioni verso l’Albero della Conoscenza, e verso l’atto del “conoscere” (sesso iniziatico) rivelano la natura anti-gnostica dell’ebraismo. Lo stesso uso del sesso a fini procreativi, e solo per quelli, serviva alle potenze occulte che hanno ispirato l’antica religione ebraica ad impedire la ierogamia,  praticata invece dagli antichi collegi di sacerdoti e sacerdotesse (egizi, caldei, fenici, babilonesi, assiri..). Scrive Evola:  “la visione prevalentemente lunare del sacro […] ha stigmatizzato come luciferico non solo ciò che realmente è tale ma anche ogni tentativo di reintegrazione tipo “eroico” e ogni spiritualità estranea ai rapporti di devozione e di creaturale dipendenza dal divino teisticamente concepito” (Il Mistero del Graal pag.102).

Per la verità gli Ofiti sembrerebbero rifarsi soprattutto alla vicenda mosaica del serpente di bronzo, forti dell’analogia Cristo/Serpente annunciata dal vangelo giovanneo.

Serpente leontocefaloSerpente leontocefalo

Circa la relazione Cristo-Serpente fu il gruppo gnostico dei Perati (corrente affine ai Sethaini e ai Naasseni) a sostenere una interessante ipotesi di carattere astrologico. Per essi, il Cristo era un Logos emanante dalla costellazione del Draco (Ippolito., Ref. V.17-19). Questa è una tesi ardita ma assai plausibile in sé, in quanto quella del Draco è una costellazione circumpolare e, circa 2800 anni fa, la stella polare coincideva esattamente con la stella Thuban (α Draconis). Ora, se consideriamo la correlazione Cristo-Stella polare, il cerchio si chiude. Per i Perati la correlazione non era solo di tipo simbolico ma doveva avere un significato cosmologico reale.

Negli scritti di queste correnti peraltro non sempre il serpente del Genesi è visto come emanazione del Dio Altissimo. Sempre alcuni di essi, ad esempio il Libro di Baruch dello gnostico Giustino, si rifanno invece all’accezione negativa del serpente , visto come desiderio sessuale.

Ma in effetti l’importanza del serpente nei sistemi di queste scuole è chiaramente stata enfatizzata strumentalmente dagli eresiologi del II e III secolo.

Il nostro interesse per essi è di natura ermeneutica: dobbiamo chiederci – se avessero davvero una origine precristiana, per certi versi pagana come si afferma spesso – come mai essi si siano introdotti nel Cristianesimo. E pensare ad esempio che il filosofo pagano Celso (II secolo), nel suo Alethès Logos, come ci dà notizia Origene, non faceva distinzioni fra Ofiti e Cristiani: quindi essi dovevano risultare, a un osservatore esterno, come indiscernibilmente legati. Come è stato possibile che una corrente esogena, assolutamente estranea al Cristianesimo, vi si sia inserita senza problemi?

…E’ evidente che essa doveva essere presente sin dai tempi apostolici. Chi afferma il contrario ha l’onere probatorio di spiegare quando e in quale modo sia avvenuto questo “travaso di paganesimo”.

Se invece assumiamo l’origine del Cristianesimo da un fondo, se non propriamente pagano, almeno da una vena misterico-sincretica con influssi pagani (e vedremo quali), presente ai margini dell’ebraismo ortodosso, il tutto  diventa non solo spiegabile ma addirittura prevedibile. Già scrissi, tuttavia, della presenza di una forte componente giudeo-cristiana del tutto priva di sensibilità esoterica, nella gran massa dei convertiti, e questo spiega la necessità di combattere tali aspetti eterodossi, o peggio ancora gentili, incomprensibili a molti giudei.

In questa mia ipotesi exoterismo ed esoterismo era presenti contemporaneamente alla nascita del Cristianesimo e, a causa della presenza di ebrei convertiti, l’attrito fu inevitabile sin dalle origini.

In questa chiave si spiega tutto: si spiega come sia potuto nascere lo gnosticismo all’interno del Cristianesimo; si spiega perché tutti i dottori gnostici rivendicassero una trasmissione apostolica (Valentino fu discepolo di Teudas, discepolo di San Paolo; Basilide fu discepolo di Glaucia, interprete di Pietro e rivendicava una tradizione segreta di Mattia apostolo). Valentino nel 160 arrivò quasi al soglio pontificio. Lo Gnosticismo non poteva essere un fenomeno esterno al Cristianesimo. E’ il Cristianesimo che finì per diventare lo snaturamento in senso exoterico della Gnosi del Cristo. Solo se assumiamo la natura gnostica del Cristianesimo originario possiamo spiegare come mai tre quarti della produzione letteraria cristiana dei primi secoli fosse gnostica. E perché i cristiani gnostici in molte province fossero la maggioranza.

Teuth col doppio ureo porge ad Osiride la chiave di vita

Teuth col doppio ureo porge ad Osiride la chiave di vita

Ora, a conferma di ciò che espongo vorrei far rilevare delle forme residuali di questa antica forma “ofitica” di cristianesimo, che doveva –nella mia ipotesi- essere quella originale. Nelle liturgie armena, greco-ortodossa, etiope e copta (cioè quelle non intaccate dalla nefasta patristica cattolico-romana), simboli del grado episcopale sono il crocifisso e uno strano pastorale (pataritsa, in greco moderno) con due serpenti, assolutamente inspiegabile rifacendosi alla teologia convenzionale.  Questo si trova persino in una congregazione cattolica, ma di origine armena, i cosiddetti mechitaristi. Questo simbolo non ha ovviamente nessuna ragion d’essere nel cristianesimo quale ci è stato tramandato.

Esso risale all’antico Egitto, al Doppio Ureo, simbolizzante la duplicità cosmica della forza serpentina. I due serpenti posti a guardia del Disco Solare alato, sono le dee Nekbet e Uadjet, recanti la corona, una dell’Alto, l’altra del Basso Egitto, anche essi rappresentanti della dualità cosmica. Il doppio ureo di Toth è poi passato nel caduceo di Hermes…o su quello di Cristo!

Anche il simbolo del biblico serpente di bronzo attorcigliato su una croce a “tau”, ricorda il simbolo ankh o chiave di vita dell’Egitto antico.

Ma perche tutto questo dovrebbe interessare lo storico del Cristianesimo?

Ci sono due fatti a dir poco misteriosi che riguardano gli scritti di uno dei Padri della Chiesa, il nemico degli gnostici Sant’Ippolito.

Nel 1840 circa, veniva rinvenuto per la prima volta sul Monte Athos l’unico esemplare rimasto in Europa della sua opera, i Philosophumena. Nei libri II e III di tale opera, afferma di rivelare i Misteri di queste scuole (Naasseni e Peratei). Sarebbe stato davvero un gran colpo per la corrente “protocattolica” che lui rappresentava.

E invece questi due “capitoli” sono stati inspiegabilmente fatti sparire dal manoscritto! Perché?

Forse erano troppo simili a certi rituali che tanti altri gruppi cristiani proto-cattolici, anch’essi segretamente, praticavano… talché non si volle divulgare un così compromettente segreto?

Certo i cattolici avrebbero avuto tutto l’interesse a denunciare le scellerate pratiche di quegli eretici.

Forse non volevano “mostrare” delle dottrine o dei rituali che quelle scuole condividevano, tutto sommato, con gruppi interni alla Chiesa.

Inoltre, più avanti nella sua opera, parlando di una dottrina dei Peratei che rimandava a delle relazioni occulte di tipo “tantrico” con i centri del corpo umano, per cui il Padre corrisponde al cervello, il Figlio al midollo spinale e la Materia (probabile terzo elemento della Trinità) allo sperma (del resto “il corpo è tempio dello Spirito Santo”), si interrompe bruscamente dicendo di non voler commettere una “profanazione rivelando questi misteri”. ….E perché mai?

E’ davvero ben strano per un eresiologo usare argomenti da iniziato. Se fossero dottrine eretiche e diaboliche perché mai coprirle di segreto iniziatico? Così facendo si è tradito. Evidentemente, se Ippolito usa questa strana cautela è perché nelle dottrine di questi Ofiti vi era una tradizione segreta che, almeno anche solo in parte, molti vescovi cattolici detenevano e custodivano, e Ippolito ne era a parte, ed egli stesso iniziato.

Continua….

Bibliografia ragionata

M.V. Cerutti Antropologia e apocalittica, L’Erma di Bretschneider, Roma 1990.

La letteratura ebraica apocalittica e gli apocrifi dell’Antico testamento, annunciano una mutata visione, assai diversa dalla religione mosaica, e fortemente anticipatrice dei temi gnostici. Gli “angeli turbolenti” di Enoch prefigurano gli arconti della creazione materiale, così come gli accoppiamenti con donne mortali -che generano esseri titanici semidivini – annunciano lo stupro da parte di Yaldabaoth su Eva che darà la nascita ai due dei ebraici Elohim e Jahve quale viene narrato nell’Apocrifo di Giovanni.

L. Moraldi, Le Apocalissi Gnostiche, Adelphi, Milano 1987.

In particolare leggasi “l’Apocalisse di Adamo”, apocrifo dell’Antico Testamento. Si tratta di un testo gnostico ebraico, piuttosto che cristiano gnostico dato che non identifica il Salvatore in Cristo, e probabilmente è stato scritto nel I.sec.a.C. .

Esso riporta una versione assai alternativa e presentata come “segreta” (apocalypsis) del racconto biblico.

Adamo è un essere celeste, un eone del Pleroma (l’Adamas di altri sistemi gnostici o l’Adam Qadmon della Cabala) ma esso viene ingannato da un dio minore il demiurgo Yahwe che gli genera un corpo di materia grossolana determinandone la caduta dallo stato di androgina divina (separazione da Eva, vista come la parte pneumatica). Tutta la storia biblica dei patriarchi è vista come la lotta fra le potenze del Demiurgo e quelle del Dio supremo. Seth terzo figlio di Adamo ed Eva è quello in cui la Sophia riversa tutto la sua luce. La sua discendenza sarà quella degli uomini pneumatici. Il demiurgo ispira i patriarchi ad adorarlo e a “non avere altro di al fuori di lui” ma quando si accorge che c’è una generazione di uomini che non deriva da lui ma è pneumatica, fa di tutto per distruggerli. Manda così il diluvio salvando solo i suoi, facendo giurare a Noè che tutti i suoi figli adoreranno solo lui. Noè ovviamente impone questo giuramento ai figli. I discendenti di Seth sono salvati però dall’intervento di eoni del Dio altissimo: Abraxas, Sablo e Gamaliel.

Fra i discendenti di Noè, molti di quelli che derivano da Jafet e Cam, si uniscono agli uomini pneumatici. Solo Sem rimase totalmente fedele all’Arconte e infatti dalla tenda dei semiti, viene detto, nessuno raggiungerà la Gnosi. Si annuncia poi l’intervento di un salvatore o meglio di un Illuminatore (fostèr).

Se il capo di una setta avesse anche solo in privato sostenuto la metà di questi insegnamenti avrebbe più che meritato la crocifissione per le elite sacerdotali ebraiche. Questo tipo di dottrine confluì poi nella gnosi cristiana in testi come l’Apocrifo di Giovanni.

Van Voorst,  Jesus Outside the New Testament: An Introduction to the Ancient Evidence, 2000 Eerdmans Publishing.

L’autore dedica alcuni passaggi alla ricostruzione delle fonti sia cristiane sia non cristiane, eterodosse o ortodosse, al di fuori del  Nuovo Testamento. Attesta l’uso frequente di Gesù quale Chrestos.

Nel libro viene sfatato il mito, sorto da una interpretazione errata di Svetonio, secondo cui i “Giudei” perseguitati sotto Nerone sarebbero stati istigati da tal Cresto, inteso come il nome proprio di un oscuro personaggio. Cresto non era affatto un nome ebraico, e del resto la diffusione di questo nome fra gli schiavi greci non sembra particolarmente frequente, né attestata dalle fonti del tempo.

Il testo è soprattutto volto a mostrare l’esistenza storica del personaggio Gesù attraverso fonti non cristiane e quindi non di parte.

L.Charboneau-Lassay Il Bestiario del Cristo, Ed. Arkeios, Roma 1994.

Qui lo Charboneau-Lassay, ottimo conoscitore del simbolismo dell’arte cristiana “ortodossa”, difetta invece su quella del cristianesimo gnostico. Come ricordato sopra, per gli gnostici il serpente può anche avere accezione simbolica negativa. E’ il caso specifico del serpente leontocefalo raffigurato in alcuni reperti dei primi secoli. Secondo Charboneau-Lassay sarebbe un simbolo di Iao, il Dio supremo (op. cit. pag.413). Tuttavia questo è abbastanza scorretto poiché sappiamo che tale rappresentazione è tipica invece di Yaldabaoth il sommo arconte. Tale è infatti descritto nell’Apocrifo di Giovanni (10, 10-11) ed anche nella Pistis Sophia (66, 137) che parla di un potere arcontico dalla faccia di leone, uno di aspetto di serpente ed un altro di basilisco. Lo Charboneau-Lassay accosta questa immagine allo Knoumis o Knoubis egizio. Il che è corretto, ma anche qui non si tiene nel debito conto che questa divinità dell’Egitto tardo rappresenta una ipostasi del Demiurgo (e infatti già lo Khnum dell’Antico Regno aveva il ruolo effettivo di edificatore), cosicché dobbiamo di nuovo riferirci ad un arconte o ad un dio demiurgico. Pertanto quel tipo di iconografia del serpente, presso gli gnostici, doveva in tale caso avere accezione nefasta, e non positiva come erroneamente opina lo Charboneau-Lassay. Gli gnostici esecravano in genere il potere del serpente leontocefalo come arcontico, e questo vale anche per coloro che adottavano il serpente quale simbolo di Sapienza, come i Sethiani. Purtroppo il cattolico Charboneau-Lassay attribuisce proprio ai Sethiani il culto di questa figura, tuttavia l’Apocrifo di Giovanni da cui ho tratto la citazione è, sfortunatamente, proprio uno scritto usato dalla corrente sethiana! Il che smentisce completamente anche questa specifica affermazione dell’Autore. A sua parziale discolpa, va però ammesso che i testi dei Sethiani non erano disponibili prima dei ritrovamenti di Nag Hammadi. Tuttavia va rilevata l’estrema leggerezza di questo autore che dà credito incondizionato a tutto ciò che scrivono i Padri come Tertulliano, i quali avevano la prassi sistematica di attribuire ai loro avversari ogni idolatria. Un autore serio non dovrebbe procedere in modo così acritico affidandosi a dati del tutto problematici e dubbi. Le conseguenze sono facilmente evidenti ove si confronti, come ho fatto io, con l’analisi dei testi originari.

Per chiudere definitivamente la questione ricordo, per chi conosce l’astrologia antica, che lo Khnoubis non poteva essere assolutamente un “simbolo del Cristo”, né per i Sethiani, né per gli Ofiti: lo Khnoubis raffigurato nelle gemme di quel periodo è infatti il simbolo di uno dei Decani, in particolare uno dei tre decani che reggono il segno del Cancro, e che – per corrispondenza microcosmica- governa il plesso epigastrico. Si usava apotropaicamente per curare le malattie di stomaco come ricorda il medico Marcello Empirico (V secolo). Gemme del genere erano incise sulle specifiche pietre, verdi nel caso del Cancro, e se ne rinvengono anche relative ad altri segni zodiacali. Cosicché si capisce che si tratta di un uso medico-magico. Ma in questa accezione lo Khnoubis è una Potenza minore, uno dei 36 decani e non può certo essere né il Sommo Arconte né il Christo Soter. In quanto potenza astrologica rappresenta sì per lo gnostico uno degli arconti cosmocratori, ma non si deve pensare che quella gemma fosse necessariamente un “simbolo gnostico”. Una cosa è la via mistica dello gnostico, altra cosa è l’uso magico – che chiunque poteva fare -di un simbolo, patrimonio comune delle conoscenze religiose e astrologiche dell’Egitto greco-romano. Il mago o il guaritore, per definizione, può fare “patti” e servirsi di Potenze per scopi mondani, Potenze che invece per lo gnostico devono essere vinte ma solo per “uscire dal Cerchio del Fato”.

In ogni caso, sia che fosse riferito a Yaldabaoth, sia che fosse riferito a Khnoubis, o altre potenze astrologiche minori, il serpente leontocefalo per gli gnostici non era oggetto di venerazione né simbolo di qualche cosmico Salvatore, bensì indicava un potere avverso.

Per comprendere il motivo del passaggio che ha portato a trasferire l’iconografia di uno dei decani nell’Arconte Yaldabaoth, una mia riflessione vorrebbe ricordare il Cancro quale “porta degli uomini”, legata al solstizio d’estate, inizio del ciclo discendente dell’anno e in relazione con la caduta, rispetto al Capricorno che è invece porta degli dei, la “via in su”, quale attestato sia da Porfirio (Antr. Nynpharum) che dalla Baghavad Gita (VIII, 24,25,26).

E’ allora possibile che la porta del Cancro, nel senso quindi di Janua Inferi , fosse particolarmente vista dallo gnostico come inizio della caduta cosmogonica e quindi, per metonimia, abbia indicato tutta l’opera degli Arconti in generale.

Per un’altra ricostruzione del passaggio da Knoubis a Yaldabaoth, leggasi:

Bollettino numismatico, monografia 8.2.I, 2003, Sylloge gemmarum gnosticarum, parte I pagg.78-80,opera di grandissima erudizione. L’autore, A. Mastrocinque, tenta una ricostruzione diversa dalla mia, ma molto interessante, anche se commette l’errore di attribuire quel simbolo a un decano del Leone. Egli comunque attribuisce le gemme di Khnoubis ai maghi egittizzanti politeisti, mentre ricorda come sia del tutto non provato che gli Gnostici creassero gemme di quel tipo, il che conferma quanto da me detto poco sopra circa la distinzione fra “uso magico” e  “uso gnostico”.

Altre fonti per l’iconografia delle gemme gnostiche:

R.Halleux-J. Schamp Le lapidaires grecs, Paris, 1985.

B. De Rachewiltz Amuleti dell’Antico Egitto, Signa-tau, Roma, 1966 e J. Marquès-Rivière Amuleti, talismani e pantacoli, ed. Mediterranee, Roma, 2008.

F. Cumont, Les mystères de Sabazius et le judaïsme, in Compts rendus Ac. Inscript., 1903, p. 63 seg.; id., Les religions orientales dans le paganisme romain, 4ª ed., Parigi 1929.

La lettera di Mar Saba in cui Clemente alessandrino conferma l’esistenza di un vangelo segreto di Marco

Seguendo il filo dell’esposizione precedente, soprattutto i sospetti passaggi di Ippolito, veniamo  all’esistenza di una tradizione segreta all’interno del cristianesimo in epoca patristica. L’esistenza di un “cristianesimo misterico” è ormai abbastanza accettata persino dalla critica ufficiale (si mettano l’anima in pace i bravi cattolici) sebbene la materia presenti numerosi e irrisolti interrogativi. In ogni caso la storiografia sul cristianesimo ha dovuto ammettere come dato indiscusso la presenza, in seno ai primi secoli della Chiesa, di una disciplina arcani, che prevedeva l’insegnamento delle dottrine in maniera progressiva ai catecumeni, secondo la modalità delle religioni misteriche (storico il saggio di Hatch del 1888 Influenza delle idee greche ed usi alla Chiesa cristiana).  Anche la messa anticamente era divisa in due parti: la prima alla quale poteva accedere il catecumeno, e la seconda che era riservata ai soli iniziati ai misteri cristiani (quando ancora il battesimo poteva avere la connotazione di un rito iniziatico).

Ecco dei riferimenti nella Patristica greca: S. Giovanni Crisostomo (in I Cor. hom., XL, 1) dice: “vorrei parlar chiaramente, ma non oso a causa dei non iniziati“.

San Basilio esplica che:

Dei dogmi e Kerygmata , che sono tenuti nella Chiesa, riteniamo alcuni dall’insegnamento scritto e alcuni ci derivano dalla tradizione apostolica, che erano stati tramandati en mystèrio. E entrambi hanno la stessa forza nelle materie di religione [...] Essi provengono dalla tradizione silenziosa e mistica, dall’insegnamento segreto e non pubblicabile” (de Spiritu Sancto, 66).

Se questi aspetti segreti vertevano sugli elementi del rito, cosa certa dato che esso era riservato in quanto missa fidelium, non possiamo sapere quali altri elementi questi segreti orali coprissero, e se vi fossero dottrine interne che andavano oltre il dogma cristiano quale è stato divulgato in pubblico.

Del resto il fatto che fosse non-scritto indica qualcosa in più rispetto ai dogmi che sono stati scritti e insegnati come catechesi. Questa segretezza rispetto non solo ai sacramenti ma persino alle dottrine, alcune delle quali solo oralmente non a tutti potevano essere divulgate, è ribadita anche da San Cirillo di Gerusalemme.

Invece i padri della chiesa latina come Agostino o Ireneo smentiscono che vi fossero tradizioni apostoliche segrete, e che vi fosse bisogno di un insegnamento esoterico. E’ inutile negare che –malgrado la tendenza all’unità della Chiesa- vi fossero in realtà due Cristianesimi.

Ormai è appurata l’autenticità della “lettera di Mar Saba”, ritrovata negli anni ’80, fatta sparire dal patriarcato ortodosso di Gerusalemme, ma fortunatamente presente in copia fotografica.

Al di là di ogni altro brano citato dai padri orientali, questo testo è fin troppo esplicito. San Clemente d’Alessandria (siamo ancora quasi in epoca “apostolica”) risponde al suo discepolo Teodoro che l’apostolo Marco scrisse addirittura due vangeli di cui uno segreto. Esso sarebbe conservato nella sua diocesi di Alessandria. I Carpocraziani ne avrebbero una copia modificata e corrotta.

Tuttavia la provenienza apostolica di questa tradizione segreta era certa per Clemente:

egli (Marco) non ha divulgato ciò che non deve essere pronunciato, né ha scritto della ierofania dell’insegnamento del Signore…”.

Queste verità esoteriche, di cui Marco avrebbe solo accennato l’esistenza, condurrebbero l’ascoltatore -dice san Clemente-  nel “santuario più intimo della verità nascosta dai sette veli”. Peraltro neanche questo vangelo segreto dice tutto, ma si limiterebbe a testimoniare una ierofania e la presenza di un trasmissione orale, ma senza profanare questo mistero.

Quanto alle manipolazioni carpocraziane… Clemente sembra quasi ammettere che la pozione dei Carpocraziani fosse vera, e andasse nascosta per quanto più fosse vera. Dice:

Perché, anche se dicono qualcosa di vero, chiunque ami la verità non dovrebbe, anche così, essere mai d’accordo con loro. Perché  non tutte le cose vere sono la verità, né quella verità che sembra vera solo secondo opinioni umane va preferita alla verità vera, secondo la fede”.

Come a dire: “non dico che hanno torto, ma per verità di fede noi dobbiamo comunque smentire!”

E’ davvero un’affermazione compromettente.

San Clemente alessandrino

In ogni caso tradizioni segrete vi erano, ed avevano origine apostolica, o almeno tale era ritenuta dai Padri greci e orientali.  Tuttavia, intorno al IV secolo (siamo negli anni del concilio di Nicea), questa tradizione esoterica, prima chiaramente attestata almeno presso alcuni Padri, sembra iniziare un periodo di abbandono. Gregorio di Nissa (335-395) scrive: “Al giorno d’oggi questa tradizione [segreta] non viene più osservata in molte chiese” (Vita Mosis II, 160). Infine, dal IV secolo in poi non si hanno più tracce di un insegnamento segreto, né nelle lettere, né nelle omelie dei Padri della Chiesa.

Considerando questi primi tre secoli e mezzo, ritengo verosimile che vi fossero quattro diverse categorie di membri del clero, con atteggiamenti diversi nei confronti della tradizione esoterica cristiana:

1) una parte che nulla sapeva di queste trasmissioni segrete (se non limitandosi a celebrare la seconda parte del rito escludendo i catecumeni). Non solo, ma essi ritenevano ridicolo che esistesse una rivelazione segreta. S. Agostino irride a questa affermazione, per lui non è vero che svelare un insegnamento a chi non è pronto lo possa danneggiare. E’ una sciocchezza: non può succedergli nulla! Del resto, se Agostino non fosse stato così incapace di comprendere il senso del Mistero non avrebbe abbandonato il Manicheismo. Sant’Ireneo (Adversus haereses III,3,1), definisce un delirio che gli Apostoli avessero trasmesso in segreto una parte della rivelazione solo ad alcuni vescovi… evidentemente dimenticando come gli stessi vangeli più volte facciano intendere un insegnamento segreto e uno aperto (Mc 4,12-13).

In effetti c’è anche una componente umana in Ireneo: il rozzo e barbaro vescovo delle Gallie, geloso, che nega una trasmissione che non ha potuto ricevere.

2) Color che negano apertamente ogni segreto, condannano come eretico chi ne parla, ma forse ne è a conoscenza e forse anche iniziato. Vedasi la strana affermazione di Ippolito (cfr. parte II di questo saggio).

3) Coloro che, all’interno della Chiesa ufficiale,  rivendicano esplicitamente una tradizione apostolica segreta.

Origene (C.Cels, VI, 6,76) scrive con orgoglio:

gli apostoli sapevano meglio di Platone quali verità dovevano mettere per iscritto e come dovevano essere scritte, e quali quelle che non dovevano essere scritte per nessun motivo destinandole alla moltitudine; ciò che deve essere detto e ciò che non è di questa natura”.

San Clemente non è da meno e, smentendo Ireneo, afferma:

“dopo la resurrezione il Signore trasmise la tradizione della gnosi a Giacomo il Giusto, a Giovanni, e a Pietro, questi agli altri apostoli e loro ai Settanta, fra cui Barnaba” (Euseb. Hist. eccles. II,1,4).

Anche costoro, difensori di una “gnosi ortodossa”, si schierano però contro le altre scuole gnostiche che denunciano come “eretiche”. In fondo l’atteggiamento di 2) e 3) è simile: coloro che mostrano di possedere un esoterismo sono potenzialmente dei nemici. Tuttavia il gruppo 2) ne nega l’esistenza, il 3) che poi fa capo alla Chiesa di Alessandria non ha timore di ammettere che esiste una tradizione apostolica segreta, ma ne rivendica il monopolio contro altre scuole gnostico-cristiane. In effetti vi sono due diverse Chiese, con cristianesimi simili solo nell’aspetto esteriore: il gruppo 1) è la Chiesa latina, il gruppo 2)e 3) è la Chiesa greca ed egiziana.

Origene

Vi è infine il gruppo 4), le varie scuole gnostiche autonome. Molte di queste facevano ancora parte però del “corpo della Chiesa”. E soprattutto anche esse possedevano la successione apostolica, si fondavano sugli stessi vangeli (anche canonici) seppur interpretati in chiave allegorica e non solo storica. Alcuni dottori gnostici erano vescovi e il più famoso, Valentino, fu quasi eletto papa. Una bella difficoltà per i sostenitori della non-ortodossia dello gnosticismo cristiano.

Quale era il motivo per cui anche i sostenitori di 3) (Clemente, Origene, Cirillo di Gerusalemme, S. Giovanni Crisostomo) criticavano gli “eretici” gnostici non meno di quanto facessero i loro omologhi Padri latini?

A mio avviso costoro (Padri orientali), possedeva realmente la trasmissione esoterica risalente al Cristo, così come i maestri gnostici del tipo di Bardesane, Eracleone, Basilide e Valentino. Questo si riscontra in una analoga tendenza alla lettura allegorica dei testi, e nel sostegno a tutta una serie di dottrine che poi vennero bandite dai concili e dal cristianesimo ufficiale, dottrine appunto di tipo gnostico o platonico-gnsotiche. Perché allora anche loro schierati contro gli eretici?

Va detto che questi dottori della Chiesa orientale forse potevano essere depositari solo di una parte di quella trasmissione segreta; così questo possesso parziale spiegherebbe la loro riluttanza ad accettare dottrine che erano tradizione per altri gnostici cristiani – i quali avevano la totalità della trasmissione- ma non per loro. In effetti, come al solito, chi possiede il più comprende chi possiede il meno, chi possiede il meno non può comprendere chi possiede il più. E’ una legge costante dell’esoterismo di tutti i tempi (fenomeni analoghi vengono descritti nei testi buddhisti che parlano di trascendenti assemblee di bodhisattva nel piano sambhogakaya in cui alcuni membri meno evoluti risultano sconcertati dalle conoscenze dei loro superiori che appaiono loro eretiche).

Tuttavia vi può essere un secondo elemento di minor buona fede da parte di Clemente e degli altri, fattore che accennai nel mio articolo su Paolo di Tarso e la Gnosi. I gruppi di gnostici cristiani (valentiani, basilidiani…) rappresentavano un elemento difficilmente controllabile. Assai difficilmente un detentore di una trasmissione esoterica, che poteva anche essere un Realizzato, si sarebbe sottomesso all’autorità spesso solo esteriore di un pontefice o di un gruppo ecclesiale… che spesso neanche sapevano di quelle verità.

Questi gnostici “integrali”, alcuni dei quali erano effettivamente dei Maestri Realizzati (dei parahamsa, si direbbe nell’induismo) erano a tutti gli effetti dei Christi. In quanto tali essi avevano trasceso ogni gerarchia umana (anche se spiritualmente fondata). La loro realizzazione autonoma, basata solo su una trasmissione apostolica diretta e sull’ascesi individuale, poteva essere ugualmente trasmessa o innescata in altri, in maniera diretta e non mediata, secondo un lignaggio non ecclesiale ma diretto (di tipo “yogico”). L’intrinseca autocefalìa di questo processo avrebbe minato sin dall’origine l’unità della Chiesa.

Se non fossero stati eliminati fisicamente (loro e i loro documenti segreti, apocrifi), il potere di questi dottori gnostici avrebbe prima o poi compromesso lo sviluppo del cesaropapismo ecclesiale, in un fiorire di scuole ognuna legittima, ognuna in pace con le altre, e sostanzialmente paritarie, confederate. In effetti il cattolicesimo si è incarnato come la rivincita dei gruppi ebraici o giudeo-cristiani nel creare una struttura burocratica e imperialista contrapposta a quella dei loro “oppressori” romani. O meglio fu il meccanismo attraverso cui l’ebraismo si impadronì della macchina burocratica dell’impero romano.

Se avessero prevalso gli gnostici, invece, il cristianesimo oggi avrebbe assomigliato più o meno all’induismo, con una diversità di scuole e correnti, spesso anche distanti formalmente, ma correlate su un impianto di fondo condiviso e con dei testi di riferimento comuni (Veda e Upanishad, smrti e shruti), ma senza forme oppressivo-coercitive e autorità militarmente armate, o un potere di controllo centrale.

Anche i Padri orientali, tuttavia, seppure detentori anche solo parziali di una trasmissione gnostica, dal momento in cui accettarono come prioritaria l’edificazione di una unità politica, optarono per il potere di Questo Mondo.

Sulla scorta di queste premesse, torniamo ora al periodo apostolico.

Ho fin qui ipotizzato la presenza di una corrente misterica “ellenistica” all’atto fondativo del cristianesimo, misteri ai quali anche Gesù doveva essere iniziato. Ho cioè sostenuto che, sebbene lo sfondo su cui ci si muoveva era esteriormente ebraico, doveva esserci un gruppo (da identificarsi nei seguaci del Battista, forse i Nazorei) che segretamente coltivasse un qualche tipo di mistero pagano o sincretico ebraico-pagano.

Ciò si fonda essenzialmente sulla presenza di tratti chiaramente non derivabili da tradizioni ebraiche. Del resto, come dissi, il fatto che il “fondatore” del cristianesimo sia incorso nell’ostilità dei rappresentanti ufficiali dell’ortodossia ebraica, si spiegherebbe molto bene riconoscendo che le radici cristiane non coincidevano esattamente con quelle ebraiche.

Mano di Sabazio. Da notare le tre dita alzate, come nella liturgia cristiana

Le premesse di questa confluenza sono da comprendersi nello spirito del tempo. Nell’evo antico era forte la tendenza comparatistica a cercare, tra i culti nazionali, corrispondenze nelle varie forme esteriori (es. correlazione Mercurio-Hermes, o Hermes-Toth). Da questo atteggiamento, che esplose poi nel periodo tardo antico, non sfuggì anche l’ebraismo… si creò così un importante filone di magia ellenistico-romana, quello che va dai Caldei babilonesi ai filosofi teurghi della tarda-antichità, che aveva inserito nel proprio pantheon e nel proprio dottrinario segreto la figura del dio ebraico, identificato con Kronos. Così il filone sincretico (o più correttamente “comparativo”) aveva stabilito il parallelismo Kronos-Yahweh. Anche Varrone reatino afferma che “il dio dei Giudei è chiamato Iaô dai Caldei nei loro scritti segreti” (Rer.div. I, fr.17 Card.). Altre assimiliazioni furono tra Serapide o (Giove Serapide) e lo Jahweh (pronunciato Iao in greco): un’ iscrizione ritrovata in Spagna è dedicata a Zeus-Serapide-Iao (Perera, Ebenes, El sello de Dios, pp.58-59).

Ovviamente i già detti Samaritani furono il canale privilegiato di questa osmosi nel senso di recezione, anche in ambiente ebraico, di dottrine religiose o magico –sincretiche di origine caldea.

La koinè creata dal periodo ellenistico ampliò certamente questi scambi ad ambiti non solo caldei o babilonesi.

Di questi interscambi si “giovò” anche il mysterion di Sabazio frigio, come sostenne Cumont. Del resto la semplice assonanza, forse non casuale, fra Juppiter Sabatius e Jahweh Sabaoth favorì la fusione delle due divinità.

Così potremmo non stupirci se parte del culto misterico di Sabazio fosse in qualche forma seguita anche in margine al mondo ebraico (peraltro assai ostile a influssi esogeni). Di certo i cristiani mutuarono dal culto di Sabazio la mano benedicente con le tre dita alzate, simbolo del dio frigio o ebraico-frigio. Da notare di sfuggita che nella mano pantea di Sabazio fa spesso capolino un serpente. Nelle iniziazioni di Sabazio veniva introdotto un serpente aureo nella scollatura della veste dell’iniziando e di sicuro la drammaturgia del serpente doveva avere un particolare significato in quel culto.

Tuttavia io ritengo che i misteri di Sabazio siano tutto sommato una componente secondaria o indiretta  nel processo di fondazione del cristianesimo.

Nella prossima parte esporrò più chiaramente quali le fonti storiche di questi misteri….

Bibliografia ragionata

M. Smith, The Secret Gospel: The Discovery and Interpretation of the Secret Gospel According to Mark, London Victor Gollancz Ltd. 1974.

Per l’interpretazione della lettera di Mar Saba. Vedasi anche:

M. Smith, Clement of Alexandria and a Secret Gospel of Mark. Cambridge, Mass. Harvard University Press, 1973.

G. Stroumsa, Morton Smith and Gershom Scholem, Correspondence 1945-1982. Boston, 2008.

R. Guénon Considerazioni sull’esoterismo cristiano e san Bernardo, Oggero, Carmagnola, 1997.

Qui Guénon espone un punto di vista che, se è corretto nelle linee generali, comprende pure notevoli e imperdonabili omissioni. Pur ammettendo l’esistenza di un’origine esoterica del cristianesimo sembra non saper nulla della sua provenienza, tema di questo mio saggio breve. Ugualmente Guénon ritrova la presenza di un esoterismo in San Bernardo di Chiaravalle ma ben poco ammette sulla  provenienza di questo esoterismo, le cui origini si perdono nella sopravvivenza di una linea isiaca in alcune aree della Francia, di cui è testimonianza il culto delle Vergini Nere presso i Cistercensi. Come al solito quello di Guénon risulta un esoterismo annacquato: dimentica completamente di nominare la filiazione druidica di san Bernardo e di san Malachia d’Irlanda. Gli influssi pagani celtico-druidici sulla tradizione cistercense sono un fatto su cui il “metafisico di Blois” non spende neppure una virgola.

R. Guénon Considerazioni sulla via iniziatica, Gerardo Casini editore, Sant’Arcangelo di R. 2010.

Fra le varie tesi qui sostenute dall’autore, molte delle quali anche corrette, viene formulata la curiosa e assai partigiana teoria filocattolica secondo cui l’“eresia” nascerebbe da una illegittima confusione fra il piano esoterico e quello exoterico.

Queste indebite confusioni sono tuttavia la prassi reale, essendo i due ambiti facilmente confusi in molte tradizioni spirituali: si pensi all’Oriente dove in realtà questa distinzione spesso neanche esiste e dove elementi dei due domini si intercalano senza soluzione di continuità come nell’induismo e nel buddhismo.

In secondo luogo, è tutto da dimostrare che il dottrinario di qualche eresia cristiana fosse eretico perché confondesse i due piani. In realtà il cattolicesimo tacciò di eresia qualsiasi dottrina che non fosse in linea col suo dogma, ivi comprese quelle completamente e autenticamente esoteriche. A dimostrazione di ciò basti pensare che l’Ordine Templare, ordine completamente ed interamente esoterico sin dall’inizio, fu sciolto e perseguitato per eresia e non per “indebite commistioni fra esoterico ed exoterico”.

Se poi i membri di una Chiesa, iniziali depositari di una via esoterica, per proprio difetto spirituale non hanno saputo conservarla e hanno visto di metterla “in sonno”, non avevano alcun titolo per perseguitare quanti –meglio dotati di qualificazioni e attributi spirituali – hanno invece portato avanti quella trasmissione. Se la corrente maggioritaria della Chiesa avesse anche deciso di perdere quelle tradizioni e di diventare un istituzione exoterica, non aveva alcun diritto di imporre questa scelta a chi avesse conservato quella tradizione. Così si vede che la causa della vera confusione fra i due piani lamentata da Guénon andrebbe semmai ricercata proprio nella scelta regressiva della Chiesa di darsi una forma exoterica. Se fosse rimasta una istituzione misterica nulla si sarebbe creato di questa eventuale confusione. Oppure, se il progetto cristiano di creare un exoterismo fosse stato corretto, e non dettato da quella volontà di creare una trappola cosmica (quale è il Cristianesimo attuale), sarebbe stato necessario creare il legittimo spazio per conservare le dottrine e le forme esoteriche in esso presenti. Ciò è stato omesso nel costituire il Cristianesimo ufficiale, così non vi fu nessun modo per la conservazione legittima di un esoterismo in Europa proprio, per colpa della Chiesa Cristiana.

Come lamentarsi dunque se qualcuno abbia salvato quello che poteva, nel modo che poteva?

Peraltro, a ben guardare, la Chiesa ha perseguitato come “eretiche” dottrine che erano anche vere e proprie religioni indipendenti e perfettamente esoteriche (senza dunque la confusione dei due piani, tanto riprovevole secondo Guénon). Il Catarismo era a tutti gli effetti una corrente manichea (infatti il suo testo base, la Interrogatio Johannis, era un testo manicheo) “specializzatasi”, se così si può dire, per accentuazione dell’elemento cristiano, dato che il manicheismo originario  fu una sintesi delle tradizioni cristiane, zoroastriane e buddhiste. Inoltre il Catarismo ebbe sin dall’origine i caratteri di una organizzazione segreta e inziatica e non exoterica. Pertanto non si troverebbero proprio gli estremi per tacciarla di “eresia” secondo le faziose formulazioni del papa Guénon. Il Catarismo era un sistema iniziatico, una religione esoterica, autonoma e indipendente dal cristianesimo cattolico, e fu estirpata manu militari secondo quello che oggi sarebbe genocidio. Come detto stessa sorte toccò al Templarismo.

Al massimo la teoria di Guénon è applicabile solo a poche correnti come il Priscillianesimo del IV secolo che veicolava temi gnostici nel corpus ecclesiale cattolico. Tolta questa sola eccezione, la definizione di Guènon non è quasi mai applicabile. Essa poi è del tutto incapace di definire cosa sia “eresia” nel caso della stragrande maggioranza delle eresie cristiane (valdesi, umiliati, patarini, dolciniani..) che ben poco di “stravaganza” dottrinale possedevano, limitando la loro eterodossia al campo sociale.

Chrismon e ankh

Chrismon e ankh

Dei filoni misterici da me ipotizzati è bene al fine enunciare esplicitamente quali e quanti. A mio avviso sono principalmente due impossibili da scartare (ve ne sarebbe altri ma secondari, si tenga presente del resto che le religioni misteriche tendono comunque ad assomigliarsi per relazione analogica e derivazione dagli stessi archetipi). Tuttavia sul piano formale vi è da rilevarne due, a mio avviso.

Analizziamo la prima.

E’ giustamente stato rilevato da molti come il battesimo, inizialmente rito di iniziazione, non avesse precedente alcuno nella tradizione ebraica, per cui non si spiega da dove fosse derivato se coloro che lo praticavano avessero attinto unicamente alla tradizione veterotestamentaria.

I numerosi riti di abluzioni purificatorie (praticati da gruppi ebraici: Farisei ma persino dagli stessi Esseni, in osservanza ai loro rigidi precetti di purezza, che peraltro derivavano dal sacerdozio babilonese-caldeo, dopo il periodo della cattività babilonese) si compivano più volte nel corso della giornata ed avevano scopo di lavacro purificatorio: non possono essere certo confusi con una iniziazione come il battesimo, che infatti veniva compiuto una sola volta nel corso della vita ed aveva il senso di una rinascita. Nulla di simile si trova nell’ebraismo, che al massimo conobbe dei riti lustrali di purificazione ripetuti di frequente, ma senza finalità iniziatiche.

Viceversa è ampiamente attestato l’uso delle immersioni rituali in vasche come atto di rinascita nei riti iniziatico-sacerdotali dei templi egizi (cfr. Max Guilmot, Iniziati e riti iniziatici nell’Antico Egitto, pag. 177 e seg.). Donde attinse questa conoscenza Giovanni Battista? Non certo dalla tradizione biblica.

Circa le iniziazioni egizie, il papiro T32 di Leida attesta che la fase di immersione del miste in acqua avveniva dopo la fase della Giustificazione (maakheru) nelle iniziazioni egiziane e rappresentava la rigenerazione effettiva. L’immersione in acqua rappresentava la discesa di Osiride negli abissi (in alternativa si scendeva sottoterra in altre forme rituali). L’uscita dalle acque costituiva la rinascita effettiva. Nei Testi dei Sarcofagi (formula 393) leggiamo: “nel lago, ricevetti la corona”, la corona nei misteri antichi essendo simbolo quasi universale di rinascita iniziatica.

Questo basta, credo, a far riflettere sull’origine né biblica né ebraica di uno dei principali “sacramenti” del cristianesimo.

I Nazorei, o coloro che seguivano il Battista, erano iniziati ad una tradizione interna proveniente dall’Egitto?

D’altra parte, se è abbastanza evidente che i “dieci comandamenti”, di cui in Esodo, sono derivati dalle formule delle confessioni negative del Libro dei Morti, è ugualmente evidente che – in analogia a quanto scritto sopra circa il battesimo – anche l’istituto sacramentale della confessione cristiana non trova nessuno specifico antecedente nella religione ebraica. Di nuovo dobbiamo risalire alle iniziazioni dei complessi templari egizi per ritrovare qualcosa che possa aver suggerito la base di questa istituzione cristiana. Si tratta della “Giustificazione”: il rito di confessione delle proprie colpe e dell’assoluzione da parte del Tribunale di Osiride che trasformava l’iniziando –ove fosse superata questa prova- in un maakheru, primo gradino del processo iniziatico (M. Guilmot, op.cit., pagg.172-175).

L’archeologo “eterodosso” Ahmed Osman, nel libro House of the Messiah, ha avanzato l’idea che i Vangeli propongano la rappresentazione di un mistero risalente a molti secoli prima, all’antico Egitto. Anche Osman si basa sugli impressionanti paralleli tra il mito di Gesù e le storie dell’antica religione egizia, in particolare il mito di Osiride.

Monogramma di CristoMonogramma di Cristo

Sia che si voglia seguire l’ipotesi della costruzione mitografica della vicenda di Gesù, sia che si voglia ammettere, sia pure con diversi gradi di leggenda, l’effettiva storicità della sua persona (cosa per la quale ormai propende quasi tutta la comunità dei ricercatori), non si può non rintracciare dei passaggi che richiamano cerimoniali iniziatici degli antichi misteri pagani intercalati nella narrazione dei vangeli canonici. Secondo il Vangelo di Giovanni la Maddalena, la prima a recarsi al sepolcro di Gesù, in lacrime rispose al giardiniere che la interrogava (che poi era lo stesso Gesù): “hanno portato via il mio signore e non so dove lo abbiano deposto” (Gv 20, 13).  Ricorda la frase rituale pronunciata dalla sacerdotessa di Iside a proposito del suo sposo Osiride, nonché analoghe lamentazioni rituali che doveva pronunciare la miste nei misteri di Tammuz/Attis.

Queste tracce sono ancora presenti nella liturgia: basti pensare che il pastorale cattolico comunemente impiegato non è altro che il pastorale indicante la Clemenza, il pastorale (hekat) di Osiride e del faraone. L’altro attributo, il flagello del Rigore, il cattolicesimo sembra averlo non conservato, tuttavia nel racconto evangelico della cacciata dei mercanti dal tempio è stato simbolicamente brandito dal Cristo. Ugualmente per alcuni gnostici cristiani esso era l’arma di Abraxas, il Dio supremo. Circa la natura pastorale di Gesù, l’essere “pastore” (non nel senso moralistico del cristianesimo attuale, ma per precise correlazioni esoteriche) era attributo peraltro proprio di Osiride e di Orfeo.

La sopravvivenza di questi elementi simbolici non deve essere presa per quel meccanismo propagandistico di “inculturazione” usato nei secoli per rabbonire le masse convertite da altre religioni (spesso a forza). Infatti tali tratti sono ancor più evidenti non nei riti pubblici del cristianesimo ma in quelli meno conosciuti, utilizzati raramente e “desueti”, ma che ancora la Chiesa conserva e pratica per “uso interno”. Si pensi all’uso di inumare i pontefici – si badi: solo loro! – all’interno di quattro teche di materiali differenti corrispondenti ciascuno a i corpi sottili della tradizione egizia. Tale è la pratica di sepoltura dei faraoni nei quattro sarcofagi tradizionali.

La derivazione “egizia” si può spiegare in vari modi. Di sicuro ci sono persino degli esoteristi che hanno ipotizzato che il mito di Gesù sia stato creato ad arte per far sopravvivere l’iniziazione osiriana. Cosa a mio avviso poco credibile perché è difficile credere che vi fosse qualche motivo per impacchettare una via iniziatica regolare in un sottoprodotto exoterico per farne sopravvivere almeno i simboli. Le religioni misteriche erano vive e vegete nei secoli dell’era tardo-antica, anzi erano al culmine della loro diffusione e vivezza: non vi era certo motivo di ricorrere a tali forme. Tuttavia questo ragionamento si fonda su una somiglianza di fondo che è oggettiva.

Va poi detto che per l’origine  egizia dei riti cristiani e dei “simboli” vi sono indizi anche di altra natura da ricordare.

San Cristoforo cinocefalo

San Cristoforo cinocefalo

La più grande comunità cristiana (nei primi secoli) fu in Egitto e la Chiesa di Alessandria fu il centro della cristianità (ben prima che primeggiasse Roma). In Egitto sono stati ritrovati un serie di vangeli molto antichi, non appartenenti né al gruppo dei canonici ma nemmeno a quello dei vangeli gnostici attualmente noti. Si tratta dei vangeli dei famosi papiri di Ossirinco e di Fayyum. Da notare che ad Ossirinco era associato il mito del Pesce che ingurgitò il fallo di Osiride (l’unica parte del corpo del dio che non fu ritrovata), e il simbolo dei cristiani fu proprio il pesce. Curiosa coincidenza che degli antichi vangeli fossero conservati proprio ad Ossirinco. Il testo di questi vangeli (specie Oss.1224) è fortemente anti-ebraico, tuttavia dimostra di conoscere superficialmente le usanze ebraiche, ragion per cui attesta una “corrente” del cristianesimo circolante in un mondo non ebraico, e completamente al di fuori di esso!

E se addirittura il Cristianesimo non fosse nato in ambiente ebraico?

In attesa di rispondere a questa domanda mi limiterò ad osservare che l’episodio della fuga in Egitto di Gesù apre spazio a scenari interessantissimi per le nostre ipotesi. Non è un caso se, fra le tante direzioni possibili per la fuga si sia – dalla cosiddetta “sacra famiglia”- l’Egitto. Gli stessi vangeli canonici ci lasciano ignari di dove e come Gesù trascorse i suoi primi trent’anni. Le tradizioni apocrife della chiesa copta e i vangeli dell’infanzia narrano di numerosi luoghi legati alla vita della famiglia di Gesù in Egitto, lasciando intendere che la sacra famiglia avrebbe trascorso un lungo periodo di anni in vari luoghi dell’Egitto. E se Gesù fosse stato iniziato in Egitto? Questo spiegherebbe la provenienza di tutti quei riti già detti, che non hanno alcun precedente nella religione ebraica.

Ancora, nell’apocrifo copto Storia di Giuseppe il falegname, vi sono alcune significative cifre simboliche che richiamano l’iniziazione osiriana. Ad esempio Giuseppe sarebbe morto nel giorno 26 del mese di Epipi, giorno epagomeno che il culto egizio associava alla resurrezione di Osiride. Anche lo gnostico Basilide (II sec.) interpretava i vangeli in chiave simbolica: ad esempio quando si dice che Gesù fu battezzato “nell’[anno] quindicesimo di Tib[erio]” esso andrebbe letto come un riferimento al giorno 15 del mese di Tyb o Tibi  dell’antico calendario egizio (giorno che rapportato al nostro calendario darebbe la data del Natale copto, curiosa coincidenza!).

Così sarebbe da supporre che molti vangeli (sia apocrifi, sia canonici) contenessero in maniera criptata delle date del complesso calendario iniziatico dei Misteri di Osiride.

Del resto l’inquietante ed enigmatica frase dell’imperatore Adriano, presente in una lettera contenuta nell’Historia augustana secondo cui i vescovi cristiani in Egitto (siamo intorno al 130) adorassero Serapide (Wsr-Apis), potrebbe far supporre un culto iniziatico riservato nella cerchia dei vescovi cristiani egiziani.

Prendiamo il chrismon, simbolo dei primi cristiani oggi non più usato. La spiegazione usuale dell’origine di questo simbolo non convince: perché mai prendere le prime due lettere del nome di Cristo? È evidente che questo non ha un significato in sé, e si tratta di una giustificazione a posteriori; persino il valore numerologico di queste due lettere greche X e P (600+100) non dà nulla di significativo. In realtà esso è un palese riadattamento dell’Ankh egizio, la croce ansata del culto egizio: la transizione dall’una forma inconografica all’altra è addirittura presente in steli funerarie. Vi sono reperti archeologici risalenti al II secolo che raffigurano il monogramma di Cristo sulla barca solare di Ra, affiancata al simbolo ankh (Cairo, Museo Copto, stele n.7730).

I copti non hanno mai rinnegato persino nei nomi di battesimo la loro reale origine. Il discepolo di San Pacomio –fondatore del monachesimo- fu battezzato Horsaesi (= Horo, figlio di Isis).

Nel cimitero paleocristiano di Terenuthis, su una stele è raffigurato il defunto (cristiano) affiancato da Horo e Anubi.

A questo proposito ricordo che il San Cristoforo (santo mitico e immaginario, non già storico) quale è presente nell’iconografia tradizionale ortodossa e copta (e si badi non cattolica), è appunto rappresentato come un vescovo con la testa di cane! Cioè il san Cristoforo cinocefalo è palesemente il dio Anubi.

Ora, la cosa non è affatto casuale, infatti, il “cristo-foro” cioè il portatore del Cristòs, è per definizione lo psicopompo, colui che porta o conduce l’anima dell’iniziato, e questo era esattamente il ruolo di Anubi, cioè di condurre il miste attraverso il rituale iniziatico di morte e rinascita.

Ugualmente, sono state di recente pubblicate (2001) le foto di un’icona copta conservata al museo del Cairo raffigurante san Michele arcangelo recante in mano una bilancia e uno Djed egizio a tre livelli! Il modo in cui è raffigurato quello djed mostra anche un possibile anello di congiunzione per spiegare la vera origine della croce ortodossa a tre barre (per le foto rimando alle riviste in bibliografia). Viene peraltro da chiedersi se la stessa iconografia tradizionale di Michele con la bilancia non derivi da quella di Toth che reca la bilancia della pesatura delle anime di cui al Libro dei Morti.

La conservazione di queste iconografie- di rara e recente pubblicazione- è quasi una testimonianza archeologica circa le misteriose origini cristiane.

Il secondo elemento che, nella mia ipotesi, deve aver guidato la formazione del Cristianesimo è da ricercarsi nell’Orfismo (esso stesso peraltro analogo dalla simbologia orisiaca: Orfeo, ma anche Dioniso Zagreo, fu fatto a pezzi esattamente come Osiride: smembramento archetipico dell’Uomo Cosmico).

L’assimilazione dell’Orfismo si intravede nella catacombe, nell’arte, nel simbolismo dei primi cristiani (vedasi bibliografia).

Uovo cosmico e serpente nel simbolismo orfico

Uovo cosmico e serpente nel simbolismo orfico

Da ricordare che Orfeo fu una delle pochissime, forse l’unica, divinità pagana a non incappare nel feroce odio propagandistico dei Padri della Chiesa, che amavano esercitare le loro doti dialettiche nel dileggiare le divinità precedenti. Addirittura molti Padri indicarono invece in Orfeo una prefigurazione del Cristo che vince la morte, vedasi Eusebio (Laudes Constantini). Per non parlare di San Clemente che elabora un’esegesi del mito di Orfeo quale simbolo del Logos cristico.

Perché tanti accorgimenti per Orfeo? In realtà se l’origine e il “clima” del Cristianesimo è quello al quale siamo stati abituati e che viene usualmente insegnato, questa reverenza per Orfeo o questo trarre simboli dall’Orfismo risultano del tutto ingiustificati.

La derivazione del Cristianesimo o più correttamente del paolinismo dall’Orfismo è in realtà già piuttosto studiata. Basti citare i lavori del nostro Macchioro per avere delle significative conferme. Macchioro, che peraltro era di origini e di cultura ebraica, mostra chiaramente l’enorme discontinuità tra cristianesimo ed ebraismo (in ciò intendasi l’Antico Testamento) e la derivazione orfico-misterica della cristologia paolina. Questo ovviamente restringendo il campo anche al solo “cristianesimo canonico”.

Tuttavia l’ipotesi di una derivazione orfica risolve e spiega altre anomalie anche sul versante gnostico. Ad esempio, i Sethiani presentano una serie di scritti che dalla critica ufficiale vengono definite gnosi ebraica. Tuttavia Ippolito, nel Libro V dei sui Philophoumena, dedicato a questa setta, narra di un mito cosmogonico incentrato su “uovo cosmico” che fluttua sull’Oceano Primordiale, le cui acque sono agitate da un “vento” che è anche un serpente. Questo è il potere generatore che feconda l’uovo. Su questi due elementi che sono la natura naturans, per così dire, discende la Luce dall’alto, il principio spirituale caduto nelle acque della generazione. Ritroviamo così proprio il simbolo del Serpente Cosmico che circonda l’Uovo Primordiale che fu simbolo dell’Orfismo. Vediamo dunque che il simbolismo orfico viene reinterpretato secondo la dottrina gnostica. Del resto è lo stesso Ippolito, in un passo seguente, a dire che l’origine di questa setta risiedeva nei Misteri Orfici ed Eleusini.

Orfeo crocifisso. Reperto archeologico collezione Gerhard

Orfeo crocifisso. Reperto archeologico collezione Gerhard

Supponiamo allora che quei testi della “gnosi ebraica” fossero usati da gruppi che si rifacevano all’Orfismo. Bene, che dei gruppi ebraici coltivassero queste conoscenze non è affatto peregrino visto che già Filone, nell’antichità, e altri autori moderni come il Larson, hanno rilevato l’origine pitagorica degli Esseni (e dei Terapeuti), come dicemmo nella prima parte di questo scritto, e ben sappiamo della connessione fra Orfismo e Pitagorismo. Si noterà poi quanto anomala fosse questa confraternita cenobitica degli Esseni nel mondo ebraico, che mai conobbe fenomeni di questo tipo. Ancora di nuovo si troverà un probabile precedente dell’organizzazione degli Esseni guardando non all’ebraismo, che non conobbe fenomeni religiosi “monastici” ma ai thiasoi dei misteri classici e ancor meglio all’organizzazione settaria dei pitagorici che conducevano vita comune.

Ora, se assumiamo che il Cristianesimo possa essersi originato da questi ambienti esoterici ebraici dediti a qualche forma di Orfismo, troviamo anche la spiegazione del perché gli Ofiti fossero già presenti nel primo Cristianesimo e si confondessero con esso. Problema sollevato nella seconda parte di questo mio lavoro, che, come vediamo, trova qui ora una spiegazione.

Persino la dottrina delle reincarnazioni, ammessa da alcuni Padri della Chiesa, potrebbe trovare la sua giustificazione in quanto detto, in effetti essendo la metempsicosi uno dei pensieri cardine dell’Orfismo.

E’ vero, d’altra parte, che l’idea della reincarnazione non è del tutto estranea alla religione ebraica (seppure non sia articolo di fede obbligatorio), pertanto questa osservazione potrebbe non essere dirimente, a meno che non si voglia estendere l’influsso orfico-pitagorico a settori dell’ebraismo, cosa peraltro più che plausibile nel caso degli Esseni.

Ad ogni modo, san Clemente (Stromata 4,160) parla delle vite “che si succedono fra loro fino a condurci alla immortalità” e trova che questa dottrina sia stata rivelata direttamente per via mistica (lett. “tradizione divina”) a San Paolo, e precedentemente afferma che questa è “trasmessa dalla tradizione e autorizzata da San Paolo” con riferimento a Gal 6,7.

Quando dice “trasmessa dalla tradizione” ci testimonia che esisteva fattualmente una tradizione cristiana reincarnazionista almeno fino a quel periodo (150-215). Ad ogni modo, stando a questa traccia offerta da Clemente, risulterebbe di nuovo un altro collegamento fra dottrine orfiche (metempsicosi), lettere di Paolo e cristianesimo.

Ora si vorrà però voler cercare un anello di congiunzione fra queste differenti religioni (cristianesimo originario e orfismo), ben oltre le semplici ipotesi erudite, e qualcuno obietterà che appunto non vi siano elementi oggettivi di questo tipo. La cosa però sorprendente è che, invece, prove addirittura archeologiche in grado di fare da anello di congiunzione ve ne sono…

Si tratta della cosiddetta “gemma di Berlino”, facente parte della collezione Gerhard, ritrovata a fine Ottocento, oggetto assolutamente unico, una gemma raffigurante un crocifisso sormontato da un crescente lunare e da sette stelle con la iscrizione “Orpheos Bakchikos”, probabilmente risalente al secondo secolo. L’autenticità dell’oggetto è chiaramente dimostrata dalle solide argomentazioni di A. Mastrocinque.

La particolarità di questa gemma è che essa è in controtendenza all’opera di “assimilazione” cultuale, che vide i cristiani appropriarsi di immagini divine preesistenti attribuendo ad esse sovrastrutture o nomi cristiani. Qui, all’inverso, siamo invece in presenza di un oggetto cristiano e non pagano (un pagano, come osserva Mastrocinque, non avrebbe mai rappresentato come crocifisso il proprio dio, sarebbe stata una blasfemia, cfr. il link in Bibliografia). In questo manufatto il Crocifisso è riconosciuto espressamente quale Orfeo Bacchico. Di conseguenza, l’autore cristiano riconosceva in Gesù crocifisso un rappresentante del culto orfico, o più correttamente una manifestazione di Orfeo. E questo dato archeologico è particolarmente  significativo, perché testimonia veramente come vi potesse essere davvero più di quello che noi oggi percepiamo nel Cristianesimo attuale.

Le tracce sepolte dalla terra o dalle sabbie del Nilo svelano anch’esse delle tappe intermedie di un culto sincretico che collegava i Misteri antichi e il Cristianesimo nascente, a cui alcuni Padri e successivamente i Concili di Nicea e Calcedonia, si sforzarono invece di dare una veste dottrinale e di culto che via via si allontanava sempre di più dalla natura misterica delle origini.

A questo proposito va notato che la stessa costruzione mitica della vicenda del Gesù storico rispecchia il clichè delle religioni misteriche, con un Sotèr divino che sconfigge la morte. Questo tema è tipico di quelle religioni appartenenti alla tradizione atlantico occidentale (di cui in Evola e Guénon), le cui epifanie sono Osiride, Adone (Tammuz), Dioniso Zagreo e …lo stesso Gesù mitizzato dei racconti evangelici. Caratteristiche di queste divinità mediterranee è quella di seguire il ciclo di nascita e morte del ciclo dell’anno (con la resurrezione che coincide con l’equinozio di primavera). Tale è l’importanza del ciclo dell’anno, in questa Ur-religion astronomico-solare del mediterraneo e dell’Asia minore, che alcuni sprovveduti positivisti come il Frazer vi hanno visto un culto della fertilità, misconoscendone la portata autenticamente spirituale. Altra caratteristica è un rituale di pasto sacro a base di pane e vino (tipico del “sacerdozio di Melkisedeq”) con una quasi totale concordanza di temi: il pane è fatto con la spiga di grano di Cibele, la vite di Cristo è la stessa che compare nel tirso dei misteri di Dioniso. E già le due divinità della Spiga e della Vite (Cibele e Dioniso) furono associati nel mito. Per contestualizzare, ricordiamo che l’altro grande filone tradizionale, quello nordico-iperboreo, è in vece centrato su un simbolismo assiale verticale che ha il suo cardine nei solstizi, più che negli equinozi. Si tratta cioè di religioni non “solari” ma stellari (o “polari” come diceva Guénon). Le divinità ariane di questo culto non muoiono e non rinascono: non decadono mai, ma sono trionfanti dall’inizio alla fine, e il prototipo di queste divinità è l’indo-iranico Mithra, il quale fu però, esso stesso associato, in epoca tarda a Helios. In Egitto furono presenti entrambe le tradizioni, quella iperborea e quella atlantidea, viventi nei due culti: quella stellare antica di Ra e quello terrestre-solare di Osiride.

Tornando a quello che investe l’origine del Cristianesimo, cioè il filone atlantico mediterraneo basato sul ciclo “orizzontale” dei solstizi, è ben evidente che il mito del Cristo dei vangeli segue lo stesso schema tipologico, e il fenomenologo delle religioni non può che prenderne atto.

Ora, però, la caduta di livello del Cristianesimo corrente sta proprio nel fraintendimento di questi significati, come un culto che avesse perso, insieme alla bussola, il significato autentico dei propri simboli. Dal punto di vista esoterico non è tanto la resurrezione mitica che si nega quanto la sua applicazione ingenua nella storia orizzontale, laddove essa è invece un simbolo della rinascita iniziatica. Non che essa non sia reale, e non possa altresì investire la stessa compagine fisica…ma allora conviene parlare della realizzazione di un corpo di luce, come fu il caso di Apollonio di Tiana.  Del resto l’inutilità di una resurrezione del corpo carnale è perfettamente chiara nello stesso san Paolo (Cor I 15,50) , il quale peraltro era del tutto convinto della necessità della Resurrezione. Eppure quello di cui parla Paolo è la creazione di un Corpo di Gloria. Ora, l’errore del cristianesimo fu di estendere nella sua dottrina tale possibilità – che rientra nel dominio iniziatico  e solo al termine di un processo di trasfigurazione interna che può durare perfino più esistenze – facendone un dato di fatto simultaneamente e incondizionatamente esteso a tutta l’umanità, mercè la semplice connessione con il dio Sotèr. Nelle religioni misteriche questo avveniva sì, grazie a quella connessione, ma il dio era simbolo del processo che il miste doveva attuare in sé, e solo al termine di questo incerto processo si poteva intravedere una ri-nascita a nuova Vita, una re-surrectio, per quanti ne fossero effettivamente in grado.  Nella creazione della religione exoterica fu invece assunto che questo atto non lo compivano gli iniziati, di volta in volta, ma veniva compiuto una sola volta nella storia, da un unico essere umano-divino e in virtù di quell’atto erano tutti automaticamente iniziati, trasfigurati e risorti. Ma questa è pura illusione!

Ancora più perniciosa fu l’assunzione assolutamente fuorviante e falsa che ogni uomo possiede ab origine un’anima immortale. L’anima dell’uomo ordinario è condizionata e destinata a decadere un certo tempo dopo la morte fisica. Solo l’iniziato che ha percorso sino in fondo l’opera di rigenerazione, almeno dei Piccoli Misteri, possiede un Io immortale, secondo un punto di vista tradizionale, al fuori di spiritualismi consolatori.

Sicché si vede che il Cristianesimo attuale fu solo un travisamento, una perdita di contenuto rispetto al fondamento originario (per questo suscitò le legittime ripulse dei filosofi platonici e degli iniziati antichi). Data questa caduta di potenziale, il Cristianesimo risulta in sostanza simbolo dal significato perduto, incomprensibile a chi lo ha ereditato – La Chiesa. Tecnicamente, il Cristianesimo è superstizione, senza alcun intento denigratorio, ma davvero esso è tale: super-stitio, la rimanenza popolare di un sistema spirituale antico e ormai decomposto, di cui restano parti non più organicamente collegate e pertanto non più funzionale.

Le giustificazione addotte da tradizionalisti cripto-cattolici come Guénon, che cercò di giustificare il tutto come la necessità di creare per le masse un sistema exoterico (ammesso e non concesso che l’exoterismo abbia davvero una qualche utilità) e di salvare il salvabile delle antiche sapienze, è una pura sciocchezza. Perché se una parte della religione pubblica del “paganesimo” (espressione inesatta che dobbiamo appunto ai polemisti cristiani) fu effettivamente in stato di decadenza, non così può dirsi del politeismo “colto” che nell’evo tardoantico conobbe il suo periodo di massimo splendore. Basta questa considerazione storica a confutare la pretesa di Guénon. Per il resto valga osservare l’amplissima diffusione che le iniziazioni misteriche ebbero presso gli strati financo popolari, diffusione davvero quasi di massa (si pensi al mithraismo e ai misteri di Iside nella Roma imperiale) per far decadere anche la fantasiosa ipotesi di masse di diseredati esclusi dalle forme spirituali precedenti il Cristianesimo.

Questo, se non tutto, è già molto di quello che si potrebbe dire.

Un’ultima nota: si potrebbe obiettare che non vi sono “anelli di congiunzione”, archeologicamente parlando, a dimostrare la prima linea, e più importante, confluita nel Cristianesimo: quella “egizia”. Posso anticipare che tuttavia prove di siffatta natura vi sono (sebbene non ancora rese pubbliche) e sarebbero della stessa natura di quelle da me sopra indicate sull’arte cristiano-copta, tuttavia di maggiore entità, più organica e sistematica. Non posso essere più preciso, non potendo qui svelare certi futuri sviluppi dell’archeologia e, non potendo qui dare per il momento dimostrazioni concrete, mi fermo -  in caso contrario scadrei nell’illazione. Mi limito a dire che si dovrebbe guardare di nuovo al Monte Athos per eventuali scoperte archeologiche “sconvolgenti”:  il monte sacro degli ortodossi conserva ancora molti segreti.

* * *

Bibliografia ragionata

Per la dimostrazione di autenticità della gemma di Berlino, e la sua attribuzione all’area cristiana leggasi l’articolo di A. Mastrocinque.

http://www.uni-koeln.de/phil-fak/ifa/zpe/downloads/1993/097pdf/097016.pdf

H.Rahner  Greek Myths and Christian Mystery, New York  Evanston, 1963

Per gli influssi greco-pagani o ellenistici sul primo cristianesimo. In particolare l’assimilazione Cristo-Orfeo era frequente persino nel cristianesimo non gnostico, e non furono pochi i Padri della Chiesa che videro in Orfeo una prefigurazione del Cristo.

V. Macchioro. Orfismo e paolinismo. Studi e polemiche, Bastogi, 1982; cfr. anche L’origine orfica della cristologia paolina, Bari 1923, stampato in Zagreus, 1930: consultabile online: http://it.scribd.com/doc/102667839/V-Macchioro-Zagreus-Studi-Intorno-All-Orfismo

Elizabeth C. Prophet, Erin L. Prophet, Reincarnazione, l’anello mancante del cristianesimo, Armenia, 2003.

Buona lettura. Aggiungo una riflessione: sopra ho parlato di una “tradizione” cristiana sulla reincarnazione, testimoniata da Clemente. Poteva essere questa una delle dottrine segrete di cui dissi nel precedente articolo (Christo-Serpente III parte)?

In effetti così sembrerebbe stando anche a certe lettere di san Girolamo a Demetriade si parla della metempsicosi come di “come una verità tradizionale che non doveva essere divulgata”.

M. Craveri, a cura di, I vangeli apocrifi, Torino, Einaudi 1969.

P.Paigent L’arte dei primi cristiani, ed Arkeios, Roma 1997.

Per le tracce dell’iconografia e della simbologia orfica nel primo cristianesimo, in particolare cfr. pagg. 142-157.

Max Guilmot, Iniziati e riti iniziatici nell’Antico Egitto, ed. Mediterranee, Roma 1999.

L’autore, allievo del grande C. Jacques, traduce finalmente una serie di documenti relativi alle iniziazioni sacerdotali nei templi egizi, noti da almeno un secolo ma mai pubblicati o tradotti per l’ostracismo degli egittologi cattolici. Gran parte delle notizie circa i dettagli dei rituali iniziatici egizi citati nell’articolo è tratta da questa preziosa opera.

B. de Rachewiltz, Egitto magico religioso, Edizioni Terra di mezzo, 2008.

Insigne egittologo, de Rachewiltz ebbe il merito di essere sia uno studioso scientifico di fama mondiale, sia un esoterista capace di cogliere a fondo il significato dei miti egizi sia, eventualmente, di verificarne l’effettività. Ha rilevato la compresenza nella religione egizia, sin dai primordi, di entrambi i filoni, quello mediterraneo solare basato sul ciclo di rinascita del dio-anno espresso nel culto popolare di Osiride, ed anche il filone nordico iperboreo, legato alla religione stellare di Ra, culto di matrice aristocratica.

Rivista online di Egittologia

 

tratto da: http://www.centrostudilaruna.it   Autore: Musashi


 

Il Cristianesimo Come Fatto Mistico e i Misteri Antichi
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