venerdì 25 aprile 2014

STATI DI COSCIENZA E FENOMENI PARAPSICOLOGICI - Quaderni di Parapsicologia

STATI DI COSCIENZA E FENOMENI PARAPSICOLOGICI

di

Dr. Enrico Marabini

Quando in campo parapsicologico si affronta l'analisi delle variabili ricorrenti nel sistema fenomenico paranormale, facendo particolare riferimento ai soggetti che, in modo diretto o indiretto, consapevolmente o inconsapevolmente sono coinvolti in un simile tipo di evento, può risultare utile realizzare una visione schematica del problema. Criterio, questo, che non ha alcuna pretesa classificatoria, ma che ritengo possa permettere al parapsicologo di rintracciare, tra i tanti elementi coinvolti nel sistema fenomenico psi, quelle variabili che, per la loro frequenza, possono acquistare un particolare significato operativo nello stesso ambito fenomenico.

Volendo fare una rapida carrellata, di queste variabili si possono realizzare vari raggruppamenti: 1) variabili biopsichiche, quali il sesso, l'età, ecc; 2) variabili bio-psico-affettive, quali la consanguineità, i legami di parentela, i legami in funzione dei comuni interessi, ecc.; 3) variabili sociali e culturali, quali l'etnia, il gruppo culturale di appartenenza, ecc.; 4) variabili psicologiche caratteriali e temperamentali, legate alla reattività emozionale, ai contenuti motivazionali, ai tratti della personalità, ecc.; 5) variabili dipendenti dagli stati coscienziali. Orbene, proprio su questo ultimo raggruppamento in questa occasione soffermerò la vostra attenzione, per l'importanza che in questi ultimi trent'anni, il concetto di stati di coscienza ha assunto non solo nell'ambito psicologico, neuropsichiatrico e psicoterapeutico, ma anche per la disciplina parapsicologica. Nell'ambito psicologico, il capitolo che riguarda gli stati di coscienza si può considerare il punto centrale da cui si dipartono tutte le espressioni fenomeniche del comportamento psicosomatico umano che può oscillare tra una gamma di stati che si configurano tra il "normale" e il "patologico", intesi come gli estremi entro cui l'uomo manifesta il suo "esserci". Ho detto "stato normale", ma che cosa significa questa espressione? Che cosa si deve intendere per stato psicologico normale? Come sottolinea opportunamente M. Margnelli,il tentativo, operato principalmente attraverso la psichiatria, di definire ciò che è normale e ciò che è patologico, ha finito per trasformarsi in un'operazione tragicamente riduttiva dello spazio mentale interno. Il "normale" non è riferito a dati "scientifici", ma a valutazioni culturali, sociali e molto spesso utilitaristiche"(M. Margnelli, L'estasi. Riza Scienze, n. 3, 1984, 6). Oggi la valutazione si basa prevalentemente su un principio di tipo funzionale. Rifacendomi ad un concetto chiaramente espresso da Verebely e Weil su questo argomento, si può dire che "L'evoluzione delle nostre conoscenze ci porta, in psichiatria, a rifiutare di fare un esplicito riferimento ad un modello di normalità. Senza volere qui entrare in merito in una discussione più approfondita, diciamo semplicemente che il diagnostico della struttura mentale non è più confuso con quello di normalità o di patologia. I dati della psichiatria in generale lasciano volentieri pensare che non esiste una struttura normale. La valutazione della normalità si basa sulla constatazione di un funzionamento interiore armonico. Si debbono prendere in considerazione la souplesse e l'armonia dei mezzi di difesa, l'omeostasi di un certo equilibrio interno, la capacità di relazioni personali. Ecco che allora la comparsa di una malattia, sarebbe la decompensazione, cioè la rottura di questa omeostasi. Rottura che, in quanto tale, non pregiudica affatto nulla del concetto di normalità anteriore e nulla nei confronti di quella che potrà essere la ulteriore normalità del soggetto, cioè la capacità di ricostruire delle nuove forme di equilibrio" (Verebely J. e Weil P., La folie en voyage. L'information Psychiatrique, Vol. 58, N. 10 Decembre 1982, 1265). Concetto che viene rivalutato anche dai moderni studi di neurofisiologia riguardanti la "plasticità" del Sistema Nervoso. Basti citare il concetto di A. Prochiantz - studioso della fisiologia dei neuroni - per apprendere che di fronte ad un nuovo ambiente, non è soltanto la sinapsi che può modificarsi, ma anche l'intera forma del neurone. ( M. De Mari, Neurone: le funzioni della forma. Fidia, A. 7, n. 8/9, 1990, 8) E più ancora in un simile contesto, è doveroso ricordare il pensiero di Gerald M. Edelman, secondo cui ogni esperienza della vita di una persona modifica e modella il suo cervello, dato che "la struttura cerebrale di ciascun individuo non è predeterminata. Come scrive D. Hellerstein parlando della teoria di Edelman, il fatto che il cervello umano agisca tramite la selezione senza un programma predeterminato, "ha implicazioni vastissime per l'individualismo, e per il motivo per cui rifiutiamo la nozione di uomini concepiti quali macchine". (D. Hellerstein, Tracciare una teoria sul cervello, Fidia, A. 6, n. 9, 1989, 3) Ciò detto, io credo sia facile intuire l'importanza di questa concettualità non solo per un giusto approccio ai problemi di tipo psichiatrico, ma anche per il tema che riguarda gli stati di coscienza. Infatti, l'ottica di un funzionamento armonico della psiche, permette di considerare gli stati "altri" di coscienza non come stati esclusivamente patologici, ma come momenti dell'attività mentale di tipo non stabile, temporanei, più o meno fugaci, più o meno volontari. A questo proposito mi rifaccio al pensiero di uno dei più autorevoli studiosi del problema psicologico della coscienza. Alludo a Carl Tart, il quale dice che "il nostro stato di coscienza ordinario, non è un qualcosa di naturale o di dato, ma una costruzione altamente complessa, uno strumento specializzato a far fronte al nostro ambiente e alla gente che si trova in esso, uno strumento utile per alcune cose, ma non utile e persino pericoloso per altre". (C. Tart, Stati di coscienza. Astrolabio, 1977) Il sistema psichico, ben lo sappiamo, pur avendo a livello funzionale le medesime possibilità reattive e operative simili per tutto il genere umano, da un punto di vista individuale, esprime delle caratteristiche che sono specifiche del singolo soggetto. In altri termini, ogni essere umano presenta:
a) particolari caratteristiche genetiche;
b) particolari caratteristiche anatomiche del S.N.C.;
c) peculiari capacità di apprendimento;
d) un particolare ed individuale tipo di inculturazione;
e) modificazioni anatomofunzionali quali esiti di pregressi stati patologici; ecc.
f) variazioni processuali relative al tipo di rapporto che il soggetto contrae con l'ambiente
in quel particolare momento.
Orbene tutti questi caratteri, in quanto condizioni vitali, concorrono alla determinazione dei modi di reagire delle differenti strutture nervose e delle funzioni psichiche, imprimendo, così, a livello comportamentale, quella varietà di espressioni che qualificano la personalità di ciascun soggetto. Per cui, essendo noi uomini "esseri dotati di un certo tipo di corpo e di Sistema Nervoso, una grande quantità di potenzialità umane è inizialmente a nostra disposizione. Ma ciascuno di noi nasce in una cultura particolare la quale seleziona e sviluppa un piccolo numero di queste potenzialità, ne respinge altre e ne ignora molte. Gli elementi strutturali di cui il nostro ordinario stato di coscienza è composto, sono costituiti da un piccolo numero di potenzialità esperienziali, con l'aggiunta di alcuni fattori culturali. Noi siamo al tempo stesso i beneficiari e le vittime della nostra particolare selettività della nostra cultura".(C. Tart, op. cit.) Dobbiamo renderci consapevoli che la coscienza, per potersi esprimere, per potersi qualificare, necessita di tanti veicoli, quali il soma, le emozioni, il pensiero. Realtà, queste, che sono in un continuo e incessante stato dinamico vitale; e in funzione delle quali l'individuo realizza stati psicosomatici continuamente diversi e potenzialmente dissimili. Inoltre, poiché ogni essere umano, in funzione della sua condizione di "sistema aperto, è in costante rapporto col circondario - cioè, con gli altri esseri e col mondo - è ovvio che ogni cambiamento degli elementi interni ed esterni coinvolti nel suo campo di interazione, cambia necessariamente lo stato di coscienza. Il che significa che, per l'individuo, cambia la capacità di esperienziare e consapevolizzare i contenuti cognitivo-emotivi emergenti da quel tipo di rapporto. Queste condizioni, però, non impediscono al soggetto di mantenere, nello stato di veglia, un certo livello di vigilanza, per cui lo inducono a credere di essere non solo in un costante stato normale di coscienza, ma di essere capace di vivere nel qui ed ora una particolare situazione al punto di saperla anche bene memorizzare e gestire. In altri termini non si accorge che anche sveglio, egli presenta uno stato ordinario di coscienza discreto (Tart), diverso non solo da quello del suo vicino, ma anche dal suo personale specifico standard di coscienza/consapevolezza o di coscienza/attenzione, cioè quelle condizioni in cui ogni essere umano esprime il suo massimo livello di vigilanza. Ecco perché posso dichiarare che il mio stato di coscienza in questo momento è tutto particolare, diverso da quello di alcune ore fa, ma soprattutto, per me che vi parlo, diverso dal vostro che mi ascoltate. Senza volermi addentrare in una disquisizione filosofica o dottrinaria sul concetto di coscienza, ma rimanendo aderente ad una concettualità psicologica, dirò che, correntemente, il termine "coscienza" si identifica col termine "consapevolezza", e questo binomio "coscienza-consapevolezza" è fondamentale proprio per il problema dell'uomo, perché egli fa riferimento alla percezione che ha di sè, del proprio corpo, delle proprie sensazioni, delle proprie idee, dei significati e dei fini delle proprie azioni.(Zingarelli,1971) In base a ciò, si può dire che l'uomo è autoconsapevole, cioè, per dirla con il Tart, ha la consapevolezza di essere consapevole. Dunque, la coscienza/consapevolezza corrisponde ad una complessa realtà biopsicodinamica che coinvolge non solo il "mentale", ma anche il "Sistema Nervoso", centrale e periferico e, in modo più o meno coinvolgente, anche i vari apparati ed organi che costituiscono la nostra corporeità. Se ora, dopo queste puntualizzazioni, consideriamo il nostro vivere quotidiano, onestamente dobbiamo dire che non sempre le nostre azioni, o le nostre idee sono costantemente regolate o controllate da uno stato di attenzione/consapevolezza. La maggior parte del nostro modo di comportarci è più un reagire, che un fare. In altre parole, acquista più i caratteri di una risposta automatica che di volizione consapevole, che di visione oggettiva della realtà sia esterna che interna. Tutti sappiamo però che l'automatismo in se e per se possiede una indubbia utilità pratica a livello di economia organica come, ad esempio, gli automatismi neuro-muscolari, gli automatismi neuro-viscerali, alcuni appresi, altri istintivi che hanno una funzione importantissima, fondamentale, nello svolgersi del nostro comportamento quotidiano. Meno nota, invece - o meno consapevolizzata - è l'influenza che i processi automatici hanno sul modo di operare della attività mentale inconscia. Infatti, in funzione dell'instaurarsi nella dinamica psichica di tali automatismi, l'uomo si abitua a pensare, a sentire, a reagire sia emotivamente che criticamente secondo schemi o modelli fissi, ripetitivi, stereotipati. In altre parole, vive di schemi abitudinari i quali, se da un certo punto di vista e per certi particolari problemi possono essere operativamente schemi favorevoli per il raggiungimento di uno scopo, in altre situazioni possono essere causa di errori o di grossi dispiaceri. In altri termini, in noi ci sono dei meccanismi chimico- fisici e dei dinamismi psicologici consci e inconsci che si attivano più per abitudine che in funzione di un atto di volontà consapevole. L'implicito di queste complesse argomentazioni si riassume in un concetto secondo cui dobbiamo liberarci dal pregiudizio secondo il quale il nostro stato ordinario di coscienza è ben definibile e ben stabile. Purtroppo (o forse per fortuna) non è così. I nostri stati di coscienza ordinari di veglia sono relativi al qui ed ora, generalmente sono di bassa stabilità, sono facilmente influenzabili da situazioni sensoriali o psicologiche esterne ed anche da situazioni organiche e psicologiche interne. A questo punto considerata la multiforme varietà dello stato coscienziale ordinario,passiamo a considerare lo stato "altro" di coscienza. Che cos'è lo stato "altro" di coscienza? Personalmente, dovendo dare una risposta a tale quesito, data la complessità di questo specifico problema, ritengo utile realizzare un inquadramento discriminante le molteplici e differenti situazioni psico-organiche presentate dal soggetto in esame, al fine di stabilire se si tratta di uno stato modificato o alterato di coscienza. Come ebbi modo di puntualizzare in altra sede (E. Marabini, Gli stati di coscienza nell'ottica della biopsicosintesi. La cultura nel mondo, A. XLIV, n. 2, 1990, 23), quando parlo di stato modificato di coscienza, escludo ogni concetto patologico nel comportamento del soggetto. Per cui, questo stato corrisponde ad una condizione comportamentale rientrante nelle modalità funzionali fisiologiche e parafisiologiche dell'organismo. Momento psicosomatico che, se raffrontato con lo standard del cosiddetto stato ordinario di veglia specifico di quel soggetto, presenta una sua "modificata" e particolare connotazione, non implicante peraltro, disorganizzazione o disarmonia somatopsichica. In altri termini, non vi è alcunché di "alterato", di malato nell'organismo. Quali sono, allora, gli stati modificati di coscienza che si possono elencare in questo gruppo? In primo luogo quelle variazioni biopsichiche su base fisiologica, spontanee o autoindotte. In tale gruppo rientrano ad esempio quei momenti ipnagogici di 'rêverie che normalmente precedono il sonno (come lo scivolare nel sonno) e così pure quei momenti ipnopompici che seguono il risveglio da un sogno. E poi il sonno in quanto tale, con o senza il ricordo di sogni; la trance ipnotica (eteroindotta o autoindotta), i vari tipi di trance da danze tribali (ad esempio la "trance derviscia", la "trance pirobasica"); poi abbiamo la trance medianica nelle sue più varie e complesse manifestazioni; gli stati di coscienza transpersonale che sono realizzati anche mediante le tecniche di "meditazione" tramite cui si possono raggiungere i massimi livelli di trascendenza del "samadhi" (estasi yogica), del "satori" (estasi zen), oppure dell'"estasi mistica", specifica del mondo culturale cattolico. L'espressione di stato alterato di coscienza, invece, fa riferimento ad un modo di essere del comportamento e dei processi coscienziali generalmente dipendenti da condizioni patologiche su base neuroorganica di tipo cronico o accidentale, autoctone o eteroindotte, per alterazioni biochimiche o di origine neuropsichica. Nei comportamenti di tipo episodico si possono ricordare ad esempio le allucinazioni, o i deliri da crisi febbrili o da stati di natura tossica, oppure gli stati alterati di coscienza per l'uso di droghe (quali l'LSD, o gli allucinogeni quali il peyote, da cui la mescalina, ecc,), o lo stato di narcosi per l'azione di composti farmacologici anche se usati per scopi medici (quale il pentotal). Così pure dicasi per certi tipi di parasonnie (e qui entriamo nell'ambito della neurologia e della neuropsichiatria) quali gli stati sonnambulici, oppure le auree epilettiche, le crisi deliranti, gli stati psicotici primitivi e le manifestazioni psicotiche tossiche, la catalessia, oppure il coma, o gli stati agonici come può accadere in stati premortali per malattie o a seguito di violenti traumi subiti dal soggetto. Comunque si voglia intendere questo tipo di inquadramento che definirei clinico, degli stati "altri" di coscienza, oggi abbiamo la possibilità di riconfermare la loro tipologia non solo in funzione descrittiva clinica, ma tramite un controllo portato a livello di monitoraggio neurofisiologico. Controllo che ci permette di riconoscere se un certo comportamento presentato in quel particolare momento da un soggetto può ascriversi a uno stato di coscienza modificata o alterata. In altri termini, da un punto di vista clinico-laboratoristico, la neurofisiologia, oggi, è in grado di rispondere in modo non ambiguo a quegli interrogativi suaccennati riguardanti la possibilità di discriminare i caratteri qualificanti i differenti stati di coscienza, tramite il rilevamento di dati obiettivi strumentali scientificamente attendibili. In tal modo,come molti di voi sanno, durante stati di meditazione, durante stati di ipnosi, di sonno, ecc. fino ad arrivare ai veri e propri stati patologici, come nel caso di pazienti degenti in sale di rianimazione in condizioni premortali, possiamo prendere in considerazione, non solo l'aspetto semiologico clinico, oltre che descrittivo di quel comportamento, ma possiamo arricchire la definizione di quel vissuto, con dati strumentali direttamente rilevati sul soggetto. Ad esempio, si può intraprendere lo studio dei correlati neurofisiologici quali, il "riflesso psicogalvanico", oppure la concentrazione del 'lattato nel sangue, i cui dati sono correlabili a certi particolari livelli di ansietà; la misurazione del consumo di ossigeno per lo studio del metabolismo; le eventuali modificazioni del ritmo cardiaco, riscontrato con l'ECG; le eventuali variazioni della frequenza respiratoria; le modificazioni a carico della pressione sanguigna. Così pure, durante stati di meditazione trascendentale, il rilevamento dell'EEG pone in evidenza (specie nelle regioni frontali) onde 'alfa che, come è noto corrispondono ad uno stato di quiete interiore e sono state riscontrate durante stati di estasi, mentre, durante lo stato di "trance medianica" sono state rilevate nel tracciato elettroen- cefalografico onde 'teta (onde molto lente). Orbene, il rilevamento di tutti questi - e di tanti altri correlati - ci permette di definire con discreta precisione lo stato psicosomatico vissuto dal soggetto in quel particolare momento. A questo punto del discorso ecco allora comparire una domanda: perché gli stati "altri" di coscienza acquistano una così grande importanza per il parapsicologo? Abbiamo visto che l'osservazione clinica e la sperimentazione laboratoristica (perché tutti questi discorsi sono ancora inseriti in un ambito culturale medico) ci permettono di affermare che ad ogni stato di coscienza corrisponde non solo un diverso stato funzionale del S.N.C., ma anche un differente vissuto emotivo e cognitivo da parte del soggetto. In base a ciò apprendiamo che l'Io del soggetto, a seconda del quadro comportamentale può esperienziare contenuti psicologici di tipo fantastico, mitico, immaginifico, archetipico, o simbolico. E così pure, può esperienziare modificazioni intense e repentine a carico della sfera psicoemotiva o della stessa psicosensorialità. Oppure, anche se non in modo frequente, e in genere sotto l'influenza di spinte motivazionali, può manifestare contenuti informativi che provengono da una attività inconscia prelogica. Ma l'esperienza ci ha anche più volte confermato che in quegli stati "altri" di coscienza il soggetto può realizzare un tipo di vissuto che gli permette di coscientizzare situazioni di tipo straordinario. È nello stato "altro" di coscienza che assistiamo, infatti, ad una apertura repentina e inusitata di particolari canali mentali attraverso i quali l'Io si immerge in un dominio "altro" di realtà e in funzione delle sue proprietà interattive (ricordiamoci che l'uomo è un sistema aperto), può esperienziare non solo la visione di una realtà "diversa", ma può comunicare, può acquisire informazioni e può manifestare potenzialità inconsuete, secondo modalità di tipo atemporale, aspaziale, superfisico e translogico. Proprietà, queste, che sono proprie ed esclusive della sfera del mentale e perciò della coscienza. (*) Ora, dire che l'Io, in quanto soggetto della coscienza, si dimostra capace di esperienziare contenuti cognitivi o di poter agire fisicamente sull'ambiente, escludendo dalla sua dipendenza logica e fisica le coordinate spazio-temporali o la meccanicità deterministica fisica, è un parlare di caratteri appartenenti ad un tipo di fenomenologia che noi conosciamo: i fenomeni parapsicologici, nella loro fattualità di base, presentano proprio questi attributi, rispondono cioè a questo tipo di connotazione fenomenica. Ed è proprio in quei particolari stati di coscienza - modificati o alterati - che noi possiamo vedere emergere dal comportamento dell'individuo, tramite le sue manifestazioni psicosomatiche, cioè comportamentali, o attraverso l'analisi dei suoi vissuti cognitivi, quelle manifestazioni che per noi costituiscono quella classe di fenomeni scientificamente non catalogati, che, in funzione di comodo, vengono anche definiti fenomeni di tipo psicognitivo o di tipo parafisico. L'analisi degli effetti emergenti dai vari comportamenti sia di tipo ordinario che straordinario, ci porta a ipotizzare che l'inconscio, durante gli stati "altri" di coscienza, manifesta una dinamica anche di tipo prelogico con l'attivazione delle sue specifiche e naturali funzioni quali, ad esempio, la funzione emozionale, la funzione immaginativa, la funzione intuitiva, quella creativa, quella del pensiero (detta anche razionale) e, non da ultimo, la funzione psi. Inoltre, in certe particolari occasioni - come specialmente nell'estasi, nel samadhi, nel satori, o anche negli stati perimortali - l'analisi dei contenuti suggerisce che il nostro Io può anche immergersi in un dominio completamente differente da quello che, nello stato ordinario di coscienza, ci è dato conoscere. Ad esempio tutti sappiamo che nel sonno vi è una emergenza di contenuti eidetici di provenienza inconscia. Contenuti che sono parte del patrimonio psichico, personale o collettivo, del soggetto. Ma sappiamo anche che in particolari momenti di sonno l'Io esperienza un vissuto i cui contenuti da un tipo di racconto fantastico onirico, possono giungere alla realizzazione di sintesi creative, intuitive, oppure a esperienze "psi-cognitive" di schietta marca parapsicologica. Quanti artisti, tramite i sogni, o tramite stati modificati di coscienza hanno avuto ispirazioni musicali - come è accaduto, ad esempio, a Mozart durante il suo stato preagonico - o ispirazioni pittoriche o letterarie; quanti scienziati, tramite il sonno-sogno hanno realizzato la soluzione di particolari loro problemi? La storia è piena di questi accadimenti. Ed egualmente, sempre durante stati "altri" di coscienza, quanti individui hanno avuto informazioni di avvenimenti lontani sia nello spazio che nel tempo, al di fuori di ogni loro razionale e fattuale possibilità comunicativa? E che dire della ricca casistica paranormale che si realizza durante quel particolare stato modificato di coscienza di "trance da danze tribali" e, specialmente durante la "trance medianica". E cosa dire di quegli altri momenti, vissuti in modo spontaneo, involontario e inatteso, quali gli stati di estasi mistica, o del tipo di esperienze delle vette, così ben descritte e analizzate da A. Maslow ? E così pure dicasi di quei momenti realizzati consapevolmente applicando tecniche meditative, tramite cui il soggetto può raggiungere livelli coscienziali del tipo di esperienza del ; stati di coscienza magistralmente analizzati e attuati tramite opportune tecniche, dalla psicologia tradizionale orientale e dalla moderna psicologia transpersonale. E, infine, che dire di quelle esperienze vissute da tanti uomini anche durante stati alterati di coscienza per situazioni patologiche, quali ad esempio momenti di gravi malattie o conclamati stati comatosi durante i quali possiamo assistere all'accadere di manifestazioni singolari. Condizioni in cui l'Io, ancora una volta dimostra di potere esperienziare situazioni del tutto particolari, straordinarie, non consuete, cosi come è dimostrato, ad esempio, dalla casistica dell'OBE. Esperienze, queste, che sappiamo essere vissute in modo inaspettato da soggetti in stati perimortali - e la letteratura parapsicologica è piena di tali rendiconti. Rendiconti che se anche provenienti da quella che noi consideriamo come "casistica aneddotica", non possono più essere ulteriormente sottovalutati, fosse solo perché sono del tutto simili a quelli riscontrati in questi ultimi anni da molti medici rianimatori, ed osservati in pazienti ricoverati nelle loro sale di rianimazione. E, a questo proposito, se le ultime statistiche non sono errate, in quei protocolli clinici risulta che ben il 35 % di quei ricoverati presentano fenomeni del tipo OBE. Il discorso potrebbe continuare, ma è tempo di concludere, nella speranza di avere fatto comprendere tutta l'importanza che tali problematiche hanno per gli stessi futuri indirizzi della parapsicologia. Tuttavia, se, in base a quanto considerato, si volesse fare una sintesi valutativa sullo stato attuale della Ricerca, ritengo di poter dire:
a) L'essere umano, nel corso della sua esistenza presenta differenti e mutevoli livelli coscienziali, in funzione dei quali esprime particolari comportamenti. Le variazioni del suo stato coscienziale e la consapevolizzazione dei relativi contenuti dipende da una molteplicità di processi fisiopsichici e dall'influenza del rapporto interattivo che il soggetto contrae con gli altri esseri e col mondo.
b) Un soggetto, in modo volontario o involontario, può modificare il suo ordinario stato coscienziale e manifestare uno stato "altro" di coscienza. Le moderne osservazioni cliniche e laboratoristiche strumentali di tali stati comportamentali, hanno permesso di realizzare una loro differenziazione a livello descrittivo e qualitativo. Il soggetto, per parte sua, in queste particolari condizioni comportamentali, vive ed esperimenta, coscientemente o inconsapevolmente, una dimensione fisica e mentale diversa da quelle proprie del suo discreto stato ordinario di coscienza di veglia.
c) Tramite questi particolari e diversificati comportamenti il soggetto può esprimere possibilità cognitive che operano a livelli atemporale, aspaziale e translogico; così pure il soggetto, in quei particolari stati, può manifestare proprietà superfisiche; proprietà, cioè, che vanno oltre i limiti della sua psicofisiologia ordinaria. È in funzione delle possibilità di queste proprietà biopsichiche che il soggetto, tramite un comportamento sui generis (definibile quale "comportamento psi"), manifesta l'emergenza di fenomeni straordinari scientificamente non codificati, i quali, in funzione dei loro contenuti, sono riconducibili alla espressione fenomenica dell'attivazione di quella mirabile facoltà della mente che, per convenzione, è definita funzione psi.
d) Infine, dall'osservazione dell'integrazione processuale di tutte le funzioni superiori della mente, acquista sempre più forza, sulla base dell'esperienza - e secondo anche la concettualità di Roger Sperry che "la coscienza è collegata con la materia cerebrale ma non è ad essa riducibile". (R. Sperry, Science and Moral Priority, Oxford, 1983)
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Riflettendo su queste evidenze, alla mente ricompare l'antico concetto di una psicologia tradizionale e di quella transpersonale, secondo cui l'Io, in quanto realtà coscienza/consapevolezza è una istanza indipendente dalla struttura del S.N.C. tramite cui si manifesta.
Come è facile capire, una simile concettualità, peraltro sostenuta anche da Roger Sperry - neurofisiologo, Nobel del 1981 per i suoi studi sul "cervello destro e cervello sinistro" - è quanto mai impegnativa, per tutte le implicazioni che comporta, non ultimo il problema del libero arbitrio. Ma, se anche da millenni, come scrive Benjamin Libet, l'uomo si interroga sulle radici del libero agire e pensare, al di là di ogni argomentazione filosofica è la neurologia che offre oggi qualche inizio di risposta. Recenti studi sperimentali dimostrano che "le fondamenta del libero arbitrio sembrano risiedere non nella nostra capacità inconscia di generare scelte, bensì nella nostra abilità cosciente di prendere decisioni" che la sperimentazione individua in quei centocinquanta millisecondi prima dell'azione. (B Libet, Neuroni da destino, TABLOID, A. 2, n. 3, 1990, 40) Potremmo dire che quello è il momento in cui nella profondità del mondo coscienziale, l'Io-Sè esprime il "FIAT".
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Dr. Enrico Marabini
Medico Chirurgo, Membro della P.A.

(Quaderni di Parapsicologia, Vol. XXII, n. 2, pag. 62, 1991)

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